Il pubblico pagato
Generalmente il pubblico paga per andare a teatro. Alle esibizioni di Silvio, nel teatrino di Arcore, l’ex presidente del Consiglio pagava il pubblico per andarlo ad ascoltare. E lui naturalmente sceglieva il suo pubblico. Preferiva naturalmente donne giovani e belle (e chi preferirebbe il contrario?), poi amici di vecchia data, giornalisti d’azienda, qualche inevitabile intruso dell’ultimo momento che non gli pareva vero d’essere li. E l’immancabile Apicella, ex posteggiatore napoletano, trasformato in musicista di Silvio, ex cantante di orchestre da nave. Che in quelle cene si siano consumati reati non è dato saperlo. Se il tribunale di Milano ha ragione, certamente si. Ma certo si consumavano infiniti monologhi del solo attore in campo. Lui, che ad ogni barzelletta, ad ogni battuta, ad ogni canzone intonata col chitarrista Apicella (che quando veniva inquadrato sembrava sempre ti dicesse: “Ma hai presente cosa mi è capitato?”), pretendeva l’applauso. Non l’applauso del pubblico pagante, ma l’applauso del pubblico pagato.
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