Stadi italiani e biglietti nominativi
Marco Iaria, sulla Gazzetta dello sport di venerdì 24 agosto, nell’articolo “Vai allo stadio? Auguri…”, coglie nel segno. E individua nei biglietti nominativi la causa più significativa della disaffezione da stadio degli italiani. In tante occasioni si è voluto prescindere, nell’analisi del fenomeno, da questo aspetto, chiamando in causa principalmente l’obsolescenza degli stadi e l’invadenza delle televisioni. Credo anch’io, invece, che la difficoltà di acquistare un biglietto sia il fattore determinante per scoraggiare gli sportivi a recarsi allo stadio. Parto da una precisazione e da un’autocritica. L’introduzione dei biglietti nominativi risale ai due decreti Pisanu del 2000 e del 2001, che ammettevano però l’istituto delle deroga e l’esclusione dell’applicazione della norma per gli impianti inferiori ai diecimila posti. Con il decreto Amato, convertito nel 2006, si è invece abolita ogni deroga e portata la capienza minima per la normativa dei biglietti nominativi a 7.500 posti, ridotta poi sotto i cinquemila. L’autocritica riguarda il mio voto, visto che a quell’epoca ero parlamentare, membro della commissione cultura e sport della Camera, ove sono stato il primo presentatore, nel 2007, della proposta sugli stadi, che ancora giace in Parlamento. Pensavo, dopo l’omicidio Raciti che, assieme a norme repressive, sarebbero state adottate, sullo stile del modello inglese, anche norme permissive, tali da responsabilizzare i tifosi. Stadi senza barriere, eliminazione delle gabbie per gli ospiti e altro. Non si è fatto nulla. Oggi gli stadi italiani sono gli unici d’Europa desolatamente vuoti, con spazi inutilizzati e chiusi dalle questure, con prefiltraggi. filtraggi, tornelli, tessere del tifoso che sono assolutamente necessarie per tutti i tifosi non solo per acquistare l’abbonamento, ma anche per recarsi in trasferta. Chi vuole comprarsi un biglietto prima della partita non può. E la maggioranza dei tifosi è costretta ad abbonarsi, col risultato della Juve, che ha lo stadio pressoché esaurito in abbonamento, ma vuoto per larghi spazi, perché non tutti gli abbonati vanno a vedere le partite. Pensi alla serie B e alla Legapro. Ma chi è che compra il biglietto in banca il giovedì senza sapere se il sabato o la domenica avrà ancora voglia di andare allo stadio, se ci sarà bel tempo, se avrà litigato con la moglie. Concludo con un’osservazione e una proposta. In nessun paese d’Europa esistono le normative italiane. Sarebbe ora di adottare un unico modello europeo, una sorta di normativa Uefa che valga per tutti i paesi. Basta con questa confusa burocrazia italiana, un misto di tortura e di sadismo. E la proposta è questa. Perché la Gazzetta non si fa promotrice di un incontro nazionale sul tema coinvolgendo governo, Parlamento, Coni, Federazione, Leghe, Osservatorio e altri?
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