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Ahi, ahi, ahi, anche la Rai?

19 Settembre 2013 1.258 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Lo spettro filtra qua e là da giorni sui quotidiani. Viene evocato con grida scandalizzate da quelli berlusconiani. Ma non solleva risposte ufficiali. Né viene approfondito con rigore dalla stampa indipendente (un disinteresse assolutamente incredibile). Eppure lo spettro può e deve o materializzarsi o essere cancellato in modo inequivoco. Se vogliamo che l’Italia non appaia un mix tra tempio dell’ipocrisia e Repubblica delle banane. Lo spettro si chiama “rapporti tra Rai e produttori americani di film”. Esattamente i rapporti al centro del caso Berlusconi, al quale lo spettro stesso aggiunge (dopo i dubbi formali e giuridici) un clamoroso, nuovo dubbio riguardante (ed è ben più importante) la sostanza. I dubbi possono essere sciolti solo da una risposta chiara alla seguente domanda: la Rai ha comperato si o no i film americani con lo stesso sistema di Berlusconi? Il presidente grillino della Commissione di Vigilanza si è dimostrato tanto intrusivo da pretendere addirittura la censura preventiva contro un film della televisione pubblica, ma si è ben guardato dal porre questa semplice, decisiva e doverosa domanda. Il che è quanto meno sorprendente. Non sappiamo quale sia la possibile risposta. Ma sappiamo con certezza che si tratta di una risposta di valore fondamentale. Perché, se la RAI avesse comperato i diritti dei film americani con il “sistema Berlusconi”, i casi sarebbero soltanto due: o questo sistema non configura alcun reato (e Rai e Berlusconi sono dunque entrambi innocenti), oppure il reato esiste ed è stato commesso da entrambi. O l’uno o l’altro caso. Non si scappa. Per orientarsi in una vicenda così intricata, sono utili tre premesse.

PRIMO – Chi ha esperienza aziendale sa (e i casi vengono denunciati continuamente) che le grandi aziende multinazionali fornite di sedi diverse nei vari Stati, fatturano, sopra fatturano o sotto fatturano là dove è più conveniente ai fini fiscali, ovvero, per dirla con più semplicità, in modo da evadere le imposte.

SECONDO – La compravendita di beni immateriali come i film si presta al gioco in modo particolare. I beni materiali hanno infatti un prezzo di mercato non facilmente ignorabile. Un film ha invece un prezzo inevitabilmente molto opinabile.

TERZO – Una generazione di italiani è cresciuta negli anni ’70 e ’80 davanti al televisore, vedendo le ormai mitiche serie di filmati prodotti da un formidabile cartello di produttori a Hollywood. Non è stato così per i loro coetanei dei Paesi comunisti (per ovvie ragioni). Non è stato così per i Paesi dell’Europa occidentale gelosi delle proprie tradizioni culturali (a cominciare dalla Francia). Non è stato così per i Paesi in via di sviluppo, dove mancavano i soldi per comperare le serie americane e dove si è manifestata invece spesso, tra gli indiani di Bollywod come tra i brasiliani inventori delle telenovelas, la capacità di produrre in loco serie televisive di successo. Gli italiani (ed è un caso umiliante, considerando la tradizione del nostro cinema) non sono stati in grado di fare come a Mumbai o a Rio de Janeiro: i suoi due colossi televisivi, RAI e Mediaset, inetti a confezionare film commerciabili sul mercato internazionale, si sono svenati per importare quelli di Hollywood. E anche per competere tra di loro, anziché nella produzione, nella messa in scena di costosissimi programmi usa e getta, incentrati su divi iper pagati ma provinciali, sconosciuti al di là delle Alpi (da Celentano sino alla Cuccarini). Per tutte queste ragioni, va sempre tenuto ben presente, proprio l’Italia si è dimostrata un mercato chiave, forse addirittura il più importante per il cartello dei produttori americani. Dunque, tra Hollywood e Milano (o Roma, se anche la RAI fosse coinvolta) cosa succedeva? Per Mediaset, lo si è accertato. Il produttore americano vendeva a 100 all’intermediario (il signor Agrama), il quale vendeva a 210 all’azienda di Berlusconi (usiamo cifre approssimative, tali da rendere il concetto, ma mediamente molto vicine alla realtà). La giustizia ritiene che Mediaset pagasse immensamente di meno: che la cifra di 210 fosse sopra fatturata allo scopo di evadere le imposte ma anche allo scopo di creare, con la differenza tra 210 e il prezzo reale (magari 110 o 120) un enorme fondo nero nei paradisi fiscali. Se si accertasse che la RAI pagava lo stesso prezzo di Mediaset (ovvero 210) è difficile immaginare che lo abbia fatto per dissennatezza e ignoranza. Sul mercato infatti tutti sanno sempre tutto dei prezzi reali o fittizi. E tutti gli acquirenti sono sempre, ovviamente, in contatto diretto con tutti i produttori. Dunque, se la RAI avesse pagato lo stesso prezzo di Mediaset, apparirebbe stupefacente la mancanza di un’inchiesta della magistratura. Così stupefacente da mettere in discussione anche l’equanimità del suo comportamento verso Berlusconi: unico inquisito mentre gli inquisiti avrebbero dovuto essere due. La conseguenza è evidente. Lo ripetiamo ancora una volta. Una domanda deve essere avanzata con forza dalla Commissione di Vigilanza RAI e innanzitutto dal suo presidente, se vuole dimostrarsi rigoroso non a chiacchiere, ma in concreto. Una domanda deve essere avanzata all’interno della Giunta per le Elezioni del Senato, perché la risposta ha un grande peso sulla decisione circa la decadenza stessa di Berlusconi. Il Senato e i cittadini devono sapere qual è la verità. Devono sapere se la RAI e Berlusconi si comportavano allo stesso modo oppure no. A questa domanda, se ne aggiunge una seconda, anch’essa stranamente mai posta. Il cartello di Hollywood vendeva a 100 all’intermediario, che poi rivendeva a 210. Perché non si preoccupava del possibile danno subito? Il cartello era il “dominus”, il grande produttore mondiale delle serie televisive più popolari del tempo, il contraente “forte”. Perché mai doveva vendere a 100 ciò che risultava poi essere rivenduto a 210? Perché non si preoccupava che la differenza di 110 formalmente risultante (ovvero miliardi di dollari) sembrasse incassata da oscuri intermediari? Perchè non si attrezzava per vendere direttamente alle televisioni consumatrici, oppure per riconoscere agli intermediari un compenso non spropositato (come quello che almeno sulla carta appariva), ma ragionevole? A Hollywood i produttori non vedevano che gli intermediari sembravano incassare in cifra assoluta più delle loro stesse aziende inventrici e confezionatrici, con spese pesanti, di filmati dallo straordinario successo? Ci può essere una spiegazione a questa incomprensibile stranezza? Si. Gli acquirenti sono certamente interessati a sopra fatturare per frodare il fisco. Ma i venditori sono interessati, per raggiungere lo stesso obbiettivo, a sotto fatturare. Siamo certi che il cartello produttivo di Hollywood vendesse davvero a 100? E se ci fosse stato un accordo a tre ? Esempio: il produttore vendeva all’intermediario a 150, ma simulava di vendere a 100 per nascondere i profitti al fisco, il compratore acquistava a 180, ma simulava di acquistare a 210 per lo stesso motivo. Si dichiarava quindi un prezzo fittizio non solo per l’acquisto da parte della televisione consumatrice, ma anche per la vendita da parte della casa produttrice. In tal modo il fondo nero veniva alimentato dalla differenza non tra 100 e 210, bensì tra 150 e 180 (si dimostrava un po’ meno ricco, ma pur sempre di miliardi di dollari). Ai quali attingevano in parti convenute tutti i partecipanti al triangolo: il venditore, l’acquirente e l’intermediario. Verosimile? Secondo la logica, si. Più verosimile di una situazione in cui il cartello dei venditori appare come un disinteressato, disinformato e candido angioletto. Come un babbo Natale generoso al punto da accettare di guadagnare immensamente meno di un oscuro intermediario Resta una domanda. Se la RAI (che è pur sempre una azienda pubblica) avesse partecipato al “triangolo”, quale sarebbe stato il suo interesse? E’ difficile ragionare sulle ipotesi, ma non impossibile. La RAI è sì una azienda pubblica, ma formalmente di diritto privato, con gravi problemi di bilancio. Quindi, si avvantaggia anch’essa dall’evadere il fisco, esattamente come Mediaset. Quanto al fondo nero, qualche dirigente infedele della RAI, rischiosamente coinvolto nell’evasione fiscale a vantaggio della sua azienda, potrebbe essersi ritagliato da sé, come ricompensa, la sua personale fetta di torta. Possiamo ritenere ragionevole che qualcuno ci dia risposte esaurienti senza nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi?

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