Che novità. Un bel dibattito sul terrorismo
Gli intellettuali di sinistra non si smentiscono mai. Trasformano in teoria anche i drammi più semplici e li interpretano alla luce dei soliti vecchi schemi. Hanno bisogno di elevare a concetti anche le decapitazioni. Capita così che dopo l’infelice battuta di Di Battista che coi tagliatori di teste vorrebbe il dialogo, anche in Sel e sul Manifesto si discuta sul significato del sostantivo “terrorista”. Qualcosa era già emerso nel corso del dibattito in commissione, tra una Sel che intendeva attendere le mosse dell’Onu prima di tentare di evitare altri omicidi, stupri, esecuzioni, quella dei pentastellati che immaginavano di dialogare con quell’assassino incappucciato che brandiva un coltellaccio da cucina prima di infilzare il collo di un uomo, fino alla Lega che, siccome noi accogliamo troppi extracomunitari, allora ritiene che ci meritiamo Al Bagdadi.
Siamo un paese che rischia il ridicolo. Lasciamo stare i leghisti e i pentastellati. Ma la sinistra francese non si sarebbe mai posta questi interrogativi. E sapete perché? Perché in alcuni settori della sinistra italiana pesa ancora una tradizione fatta di anti americanismo e di anti occidentalismo. Il professor Angelo d’Orsi sul Manisfesto si chiede se non esista un nesso “tra ingiustizia sociale e terrorismo” e ricorda che anche i partigiani vennero definiti terroristi dai nezifascisti e che anche noi “se fossimo oppressi da un nemico infinitamente più potente” magari faremmo ricorso a quel che si definisce terrorismo. Per fortuna Angela Sgrena, che il terrorismo islamico lo ha conosciuto sulla sua pelle, ribatte a dovere.
Partiamo da un altro presupposto. Se gli invasati che vogliono sottomettere gli altri alla loro religione, che uccidono chi non lo fa, che stuprano le loro donne, che decapitano i giornalisti, fossero guerriglieri di un esercito fascista dell’America del sud d’antan, questi professori parlerebbero allo stesso modo? La verità é che per taluni i criteri interpretativi dei fenomeni internazionali rimangono quelli della lotta di classe e del conseguente conflitto tra imperialismo e lotte di liberazione. E siccome qui c’entra fino a un certo punto l’America il loro cuore non può battere per chi si oppone ai nuovi barbari. Come una volta quel cuore malato stava dalla parte di Mao e di Pol Pot. Quello che costoro non riescono ad afferrare è che il tema oggi è quel che richiama sul Corriere Angelo Panebianco e cioè l’esistenza di una guerra di religione e di civiltà. Gli sceicchi e i settori dell’Arabia saudita che finanziano l’Isis non sono i conquistatori del palazzo d’inverno, ma i fanatici proprietari di petrolio che, per interesse e per fede, vogliono instaurare il califfato.
Possiamo anche far finta di non averlo capito. Ma questa guerra di religione e di civiltà è cominciata. Noi dobbiamo attrezzarci per combattere nel modo migliore. Ci sono due ragazze italiane in mano a quegli assassini. Facciamo di tutto perché vengano liberate. Con azioni militari, con iniziative varie, ma non possiamo accettare un altro video, altri coltellacci, altre teste. Obama ieri sera ha riunito il pentagono. Non so se gli Usa abbiano sbagliato a invadere l’Iraq, come ho sempre pensato, o ad abbandonarlo. Ma ancora una volta sono gli americani che devono muoversi. Troppo comodo. E l’Europa, e l’Italia? Stanno a guardare. Anzi in Italia si parla del significato della parola terrorista, mentre la gente muore disperata. Faccio ricorso a una trovata di Filippo Turati in un assemblea socialista svolta nella capitale lombarda subito dopo Caporetto, quando pareva che gli austriaci potessero arrivare a Milano. Egli domandò ai presenti: “Voi non volete combattere e dunque volete gli austriaci a Milano”. E l’assemblea rispose di no. “Allora volete combattere per non farli arrivare”. Ancora no. “E allora non sapete quel che volete….”
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