La guerra
Che l’Europa si senta in guerra con l’Isis dovrebbe essere scontato. Siamo innanzitutto noi europei, come purtroppo confermano i luttuosi recenti episodi danesi, le vittime prescelte del terrorismo islamico, che pare avere due sorgenti, quella tradizionale di Al Qaeda, e quella ben più pericolosa, perché possiede un territorio, dell’Isis. Il problema di fondo è come fronteggiare la guerra. Dobbiamo a mio avviso tenere ben presenti alcune variabili. In primo luogo il ruolo degli Usa. Oggi con Obama pare molto meno orientata a farsi carico dei problemi del mondo. Alcuni danni li ha procurati, dopo la guerra all’Iraq, e l’appoggio incondizionato alle rivoluzioni arabe e l’oscillante atteggiamento sulla Siria. È evidente che dopo la fase bipolare è oggi saltata anche quella unipolare. L’America le castagne dal fuoco all’Europa non le toglie più.
La seconda è il ruolo della Russia, che è parte decisiva perché membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Con l’attuale drammatica crisi ucraina e con le posizioni assunte dall’Occidente, compresa la minaccia di inviare armi agli ucraini, la Russia, nonostante i buoni rapporti con la Siria, difficilmente può ritrovare un’armonia con gli europei e con gli americani sulla crisi libico-siriano-irachena. Sarebbe dunque necessario arrivare ad un’intesa, che appare però difficile, sulla Crimea, per impegnare l’Onu e la stessa Russia nella guerra all’Isis. Così come risolvere la questione greca, in chiave europeista, faciliterebbe quella fiducia di un paese geograficamente strategico, sia per il suo confine a Sud sia per quello Est.
Infine l’Europa e l’Italia. Inutile nasconderlo. L’Europa militarmente non esiste, come non esiste politicamente, visto che la sua politica estera sulla crisi ucraina è stata gestita da Germania e Francia. Due nazioni, non un continente unito solo dall’euro. Secondo i dati citati quest’oggi da Galli Della Loggia sul Corriere l’Europa “negli ultimi vent’anni ha visto dimezzarsi la sua aviazione tattica, l’artiglieria passare da 40mila pezzi a poco più di 20mila e i suoi tre paesi più popolari, Germania, Francia e Italia schierare insieme solo 770 carri armati. E le altre cifre relative agli armamenti declinare sempre più”. Aggiunge del suo Mario Arpino su Il Resto del Carlino-Nazione-Giorno, a proposito della sicurezza dell’Italia a fronte del possibile attacco di Gheddafi nel 1986: “Capo del governo era Craxi, che da un lato si era imposto (fatti di Sigonella) sull’arroganza americana e, dall’altra, aveva impostato una grande manovra militare per presidiare il sud e le isole. Senza troppi tentennamenti, aveva ordinato di predisporre un’eventuale ritorsione con i nostri tornado”. Oggi l’Italia non dispone di alcuna forma di protezione. Sarà colpa della prima Repubblica?
Non possiamo rimanere fermi. Ma la cosa peggiore è non sapere cosa fare. E lanciare messaggi contraddittori. Vogliamo ingaggiare una guerra all’Isis libica da soli? Vogliamo farla con l’Europa, con la Nato, con l’Onu? Non diciamo stupidaggini. Da soli rischieremmo pure di perderla e per di più di rinverdire i fasti della guerra coloniale del 1911. Con l’Onu, stante l’atteggiamento della Russia, appare per lo meno improbabile. Eppure una Libia in mano all’Isis è una minaccia per l’Europa, e soprattutto per l’Italia. Sarebbe opportuno coinvolgere subito l’intera comunità europea e la Nato in un’operazione militare che non è rinviabile. Anche perché vanno presi sul serio, maledettamente sul serio, i pronunciamenti di attacchi all’Italia da parte di una Libia sempre più dominata dall’Isis. Ma assieme all’Europa e alla Nato dovrebbero essere chiamati in causa anche i paesi arabi, a cominciare da quelli economicamente amici degli Stati uniti, come l’Arabia saudita, e contemporaneamente in combutta col terrorismo, oltre alla Giordania, che si è mossa dopo il truce delitto di uno suo pilota. Perché il nemico dell’Isis è certo l’Occidente cristiano-giudaico, ma anche il medio-oriente mussulmano. E la guerra, non é di religione, ma di civiltà.
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