I nuovi “tre tenori” conquistano Sanremo…
Avevamo Pavarotti, Domingo e Carreras, adesso abbiamo il Volo. D’altronde tutto cambia e non in meglio. Avevamo De Gasperi, Moro, Craxi e Berlinguer. Oggi abbiamo Renzi, Berlusconi, Verdini e Salvini. Avevamo Sivori, Maradona e Platini e oggi abbiamo Balotelli. Poi chi si ricorda più di quella bella nebbia intensa di novembre così ben richiamata da Fellini in Amarcord? E che dire delle ciambelle della nonna? Vuoi che non si possa accettare il Volo dopo aver sentito Boccelli cantare in Bohème? Piacciono molto agli americani questi tre bravi ragazzini dall’ugola calda. Ma agli americani piace di tutto. Anche il lambrusco in lattina. La cosa migliore del Migliore è un articolo sull’Unità del 1946 intitolato “Ma quanto sono cretini…”. E dedicato agli epigoni di quell’attoruncolo che era Ronald Reagan. Magari anche lui adottato come cantante al pari di Dean Martin. Sanremo non poteva resistere ai nuovi travolgenti fenomeni del trio vocale. Una volta c’era il trio Lescano, ma anche il duo Fasano, e soprattutto il Quartetto Cetra dell’inimitabile e irraggiungibile Virginio Savona. Sono tre pure loro come i moschettieri, che erano quattro. Uno, Gianluca Ginoble, più propenso ai toni baritonali, confidenziale, uno che se la tira, e sembra comunicarti la sua consapevolezza di essere bello, strabello. irresistibile. Canta molto sinatrese, ancor più stile Pat Boom, ottimo per i the danzanti e per il fine serata di tardone arrapate. Poi c’è l’ex grosso, in perenne cura dimagrante, Ignazio Boschetto, uno che la voce la tira fuori ed è corposa, come il suo ex fisico da lanciatore di pesi. A lui l’ultimo acuto, quello che si riserva al leader, che lo tira lungo e ad occhi spalancati, quasi a gareggiare con gli altri due. Poi Piero Barone, più piccolo e bruttino. Quello che le ragazze lo cercano per confidarsi e fissare gli appuntamenti con gli altri. La dimostrazione che tra uomo e donna può esserci amicizia. È l’unico che potrebbe tentare la carriera di tenore. Quella vera, non alla Boccelli. Hanno vinto e dunque viva Il Volo. Che a Sanremo è apparso la prima volta nel 1958 con Modugno, dopo i dolori per la cagnetta Laika e Gagarin nello spazio. Difficile bissarne il successo. Per il resto secondo Neck col suo brio da incantatore di serpenti e terza a sorpresa Malika Ayane. Un’artista vera, che unisce sensualità nelle emissioni vocali e gesti da teatro kabuki. La canzone era sofisticata, difficile, poco orecchiabile. È salita sul podio grazie alle giurie. Non so dove sia finita Platinette, rivelazione in salsa sanremese, con Grazia Di Michele, in un pezzo da salotto molto intenso dedicato alle diversità. Mentre eliminata subito, e ci mancava, la belga-canadese Lara Fabian, artista di notevole spessore che canta come la sua mezzo-connazionale Celine Dion. Che se fosse arrivata a Sanremo magari sarebbe stata eliminata pure lei. Sulle eliminazioni sanremesi si potrebbe pubblicare un libro. Da Tenco a Celentano, da Steve Wonders a Mina a Vasco Rossi a Minghi. Verrebbe voglia di dire che in una kermesse vinta dai Jalisse il vero premio è l’eliminazione. Complimenti, Lara, dunque…
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