L’eterno conflitto Reggio-Parma…
Quando c’era il derby col Parma mio padre mi portava al Mirabello a mezzogiorno. Bisognava stringersi nella angusta tribunetta, dove tutti si alzavano in piedi ed io ero costretto ad arrampicarmi su una fila di cuscini di carta per intravvedere le gambe di Pinti e Pistacchi, che giravano come trottole sulla carbonella. Il Parma era il nostro vero avversario. Granata contro crociati era derby più ancora di quello col Modena, che alternava serie A, B e C. I crociati li avevamo sempre addosso e in molti si ricordavano l’onta subita nel 1953, a causa della denuncia per illecito sportivo di una partita vinta regolarmente dai granata al Tardini, che ci costò venti punti di penalizzazione e la retrocessione in Quarta serie. Ci vendicammo nei tornei di B del 1959, ‘60 e ‘61 con tre vittorie in terra ducale, con loro che ci guardavano anche un po’ invidiosi. Noi terragni e teste quadre gliel’avevamo combinata bella. Negli anni sessanta li superammo anche a teatro. Quel geniale organizzatore di cultura che fu Gigetto Reverberi, dopo aver lanciato il premio Maria Melato, dedicato alla grande attrice di prosa reggiana morta nel 1950 (a Reggio erano di casa Romolo Valli, la Guarneri, la Falk), seppe inventarsi un concorso per giovani cantanti lirici, il Premio Peri, che sfornò Luciano Pavarotti, Mirella Freni, Raina Kabaivanska, Enzo Dara, il meglio della lirica italiana. E se noi allestivamo un Rigoletto, come quello del 1965, con Pavarotti, Capuccilli, la Rinaldi e la regia di Bacher, loro venivano a vederlo al nostro Municipale, anche se il loro Gigetto era il bravo Negri che almeno credeva nell’Ater. Ricordo, dopo il magnifico intermezzo dell’Amico Fritz di Mascagni, una voce dal loggione del Municipale urlare al maestro Zedda “Hai rapito il cuore di Parma“. E un’altra di rimando “Ritorna a Parma senza”. Insomma eravamo davanti noi. Per non parlare dei servizi sociali e in particolare di quel Loris Malaguzzi che, rifacendosi ai vecchi socialisti riformisti, seppe regalarci le scuole dell’infanzia più belle del mondo. Loro però non dormivano sugli allori del vecchio ducato e dopo ci fu il sorpasso. Dagli anni settanta e poi negli anni ottanta non c’era più partita. Negli anni novanta il divario a nostro sfavore era netto. Loro avevamo la tangenziale, che da noi si inaugurò solo a fine anni ottanta, disponevano di un centro storico già restaurato, fondarono un aeroporto intestato proprio a Verdi, e di Verdi divennero padri anche se il vecchio cigno era di Busseto e amava poco sia Busseto, sia Parma, preferendo ad ambedue Milano. Via al Festival Verdi, dunque, con noi sotto la loro tutela e via anche al progetto di una fantomatica metropolitana di superficie, via alle grandi mostre sul Parmigianino e sul Correggio, che a Reggio e nella città natale del pittore rinascimentale non seppero promuovere, nonostante dal governo li avessi sollecitati a una collaborazione triangolare. E che dire della Parmalat e del Parma di Tanzi (che industriale… altro che i nostri), che volava in Serie A, poi vincitore di Coppe e secondo con Ancelotti in campionato. Poi la pallavolo, che vinceva scudetti, il rugby e il baseball che trionfavano e che noi non conoscevamo neppure. Che differenza. Il Regio chiamava Krauss e Carreras, le regie di Ceroli entusiasmavano anche il fatidico loggione, poi il lancio del tenore italiano del momento, Meli, e il meglio delle lirica mondiale, col nuovo auditorium Paganini e Teatro due per la prosa. Che dire dell’Università e del conservatorio? Parma si è sempre sentita capitale, non dell’Emilia, ma di una regione su misura, chiamata Lunezia, che avrebbe dovuto comprendere anche Cremona, La Spezia e Massa Carrara, perché, si cantava, “Pama bell’arma, Bologna carogna”. Tanti fasti celebrati dalla storica Gazzetta, il solo giornale dei nostri cugini. Poi come d’incanto tutto o quasi tutto crollò. Come un castello di carte con effetto domino. Che Parma stesse spendendo troppo, che dopo Ubaldi non disponesse di amministratori di valore, me ne ero accorto. Che arrivasse ad accumulare tanti debiti no. Prima la drammatica vicenda Tanzi, che segnalava un modo allegro di mischiare industria e finanza, e che doveva lanciare il segno della possibile caduta. Poi il tempismo di Reggio di aggiudicarsi, grazie a Prodi, la stazione medio padana, per la quale decisiva fu l’azione di Antonella Spaggiari (il mio amico Mario Guidetti ricorda sempre anche il mio, quando dal governo sbloccai i 37 milioni che mancavano). A noi anche le costosissime, ma splendide, vele di Calatrava e poi, dopo lo stadio nuovo (ringraziamo Dal Cin), anche la seria A col Sassuolo a Reggio e un basket da favola al pala, e adesso finalmente una Reggiana ambiziosa. Loro invece si avviluppavano, si piegavano, si incupivano. Dal Regio fuggiva Carlo Fontana e il buon Pizzarotti restava senza soldi. L’aeroporto cade in crisi e minaccia la chiusura, col sindaco che si rivolge a noi pregandoci di intervenire. Che dire dello sport parmigiano? La pallavolo è sparita, il rugby di Parma è finito e al suo posto eccovi le Zebre, anche il baseball pare in crisi. Ma il buon Ghiretti, ex assessore allo sport di Parma, non era riuscito a designarla come capitale europea dello sport? Ci mancava il crack del Parma calcio. Non si era mai visto in serie A una squadra non giocare alcune partite perché senza soldi, anche per la lavanderia. Fa ridere questa provocazione di un professionista povigliese, che propone che il Parma giochi a Reggio. Come se a Reggio non si pagassero le docce. Ma ha mai visto una partita di calcio, costui? La Questura impazzirebbe al solo stormir di fronde. Noi ci consoliamo un po’. Parma per Reggio era sempre il vicino col pratino più verde. Quanti paragoni, quante frustrazioni. Di difetti ne abbiamo tanti anche noi. Però improvvisamente, guardandoci allo specchio, ci siamo scoperti più belli.
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