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Come fallì l’Avanti e come non fallì “L’Unità”

12 Maggio 2015 1.355 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Era il 1993, nel pieno di Tangentopoli. Il Psi era quasi sparito. Tentava di resistere con una nuova segreteria alla guida della quale, dopo le dimissioni di Giorgio Benvenuto, era stato chiamato Ottaviano Del Turco. L’”Avanti!” era in forte difficoltà dall’anno prima. Da qualche mese non si pagavano gli stipendi. Il passivo del giornale era arrivato a sfiorare i dieci milioni di euro (venti miliardi di vecchie lire). Esistevano fondi a disposizione della presidenza del Consiglio, la quota dei fondi per l’editoria, che l’Avanti doveva avere anche per onorare i più impellenti impegni con il personale. Con motivazioni infondate, e anche provocatorie, questi contributi vennero negati. Il Psi era giudicato un soggetto troppo coinvolto in inchieste giudiziarie e conseguentemente anche l’Avanti.

Il quotidiano, ormai in crisi perenne, chiude alla fine del 1993 senza un soldo di contributi pubblici: dopo nove mesi di lavoro senza retribuzione, i giornalisti non giudicarono più credibili le rassicurazioni dei vertici del giornale e del partito e cessarono di presentarsi in redazione. La casa editrice, la «Nuova Editrice Avanti!», venne messa in liquidazione nel gennaio del 1994 dall’editore, Dal vecchio Psi nacquero due Avanti senza alcuna attinenza con la proprietà del vecchio: un quotidiano di centro-destra, finito nelle mani di Walter Lavitola, con una testata posticcia, e uno di centro-sinistra, ma solo settimanale, l”Avanti della domenica”. L’”Avanti!” quotidiano in versione cartacea non venne più editato e oggi l’attuale “Avantionline” è la prosecuzione in versione telematica del quotidiano originale, ma solo dal punto di vista politico.

“L’Unità”, nel 1994, registrava un passivo molto superiore a quello dell’”Avanti!”, e il suo debito ammontava a 125 milioni di euro, pari a 250 miliardi di vecchie lire (quello del Pci-Pds era arrivato a 447 milioni, quasi 900 miliardi di vecchie lire). Lo sappiamo dai dati ufficiali recentemente diffusi dalla rubrica di Rai Tre di Milena Gabanelli “Report”. “L’Unità” con quel passivo non fallì, l’Avanti, con un passivo inferiore, invece sì. Adesso sappiamo anche perché. I giornali di partito, (ad eccezione dell’Avanti ed de “Il Popolo” della vecchia Dc) con la legge sull’editoria godevano di un sostanzioso finanziamento. E poterono tirare avanti con una certa disinvoltura. Il giornale comunista, nel 1994 di proprietà dell’allora Pds, aveva in mente però anche un altro percorso, perché continuava a fare debiti, tra i cinque e sei milioni di euro l’anno.

Il Pds si accollò i debiti che aveva con le banche e riuscì a rateizzarli. Poi dissociò la proprietà dal partito quando nacque il Pd, che ne divenne azionista per solo lo 0,1 per cento (ma con clausole che gli garantivano il controllo del giornale), e nel contempo blindò il patrimonio immobiliare enorme del vecchio Pci-Pds-Ds in una fondazione. Era stata approvata dal governo Prodi, nel 1998, una legge, la 224 dell’11 luglio, in base alla quale le fidejussioni date alle banche dai giornali di partito, qualora questi ultimi non fossero stati in grado di pagare, sarebbero passati allo Stato o meglio alla Presidenza del Consiglio che erogava fondi per l’editoria. E così, da un lato, riversarono i debiti sui giornalisti in mancanza di un editore dopo il fallimento e la chiusura del giornale e dall’altro orientarono la maggior parte del debito, circa 110 milioni di euro, sullo Stato, separando partito e proprietà del giornale e poi partito e fondazione. Da registrare che la fondazione oggi detiene un patrimonio di centinaia di milioni di euro che sono assolutamente distinti dal Pd.

Questo, di un partito che ha un disavanzo oggi di circa 10 milioni di euro, e che però può contare su una fondazione autonoma che detiene proprietà di centinaia di milioni di euro, è davvero una anomalia. Anche dal punto di vista politico. Adesso capisco meglio anche il significato della parola “ditta”. In realtà la vera ditta è la fondazione. Usando un termine marxista la fondazione è la struttura e il Pd la sovrastruttura. Domanda. Come fa la sovrastruttura a comandare? Semplice. Lascia spazio e offre garanzie al presidente della fondazione, l’unico non soggetto mai a logiche rottamatorie. Che può dire e fare tutto quel che vuole. La ditta non ammette scissioni. L’unica davvero pericolosa sarebbe quella del presidente della fondazione. Meglio sposato che separato, anzi meglio Sposetti …

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