Sì, sono uno di voi (a proposito di piazza San Prospero granata)
Ho partecipato ieri alla cerimonia della tribù del calcio granata. Duemila persone, in maggioranza giovani, accalcati di fronte alla basilica di San Prospero, di fianco ai quattrocenteschi leoni che hanno fatto la gioia di tante generazioni di bambini. La comunità dei tifosi vive insieme, soffre e gioisce insieme. Socializza i sentimenti. E quando i vertici della delusione e dell’entusiasmo si intrecciano e seguono a pochi minuti l’uno dall’altro allora si completa quel cerchio di condivisione che chiamano tifo. Così è stato ieri.
Quando cerco una sedia mi chiama un vecchio amico che pare quasi abbia riservato un posto per me. La maggior parte dei tifosi sta in piedi con sciarpe e bandiere e birre, molte birre, fiumi di birre che cerchiano le fronti di sudore ancor prima che la gara abbia inizio. Poi quasi subito arriva il match clou.
Siega viene atterrato in area davanti al portiere ed è rigore sacrosanto. E anche espulsione del difensore ascolano. Giusta, eccessiva? E chissenefrega, pensano tutti tranne il telecronista Franco Tosi che si interroga amleticamente. Io mi nascondo, dati i precedenti, gli occhi con le mani. Sento il grido ed è gol. La partita è in discesa, dai. Ma vattelappesca cosa vai a immaginare. Che sto Pelagalli e Palagatti o come cavolo si chiama costui con una zuccata (Feola è fermo tra i pali) ricambia qualche minuto dopo.
Primo tempo parità. E una coca cola rimediata da Pancaldi, nuovo ristorante-bar del famoso prosciuttaio reggiano. Si riprende, il tifo è alle stelle. Qualche coro sul Parma, sul Sassuolo, ma soprattuto quel “Totalmente dipendente”, che è diventato tormentone granata della Sud.
Giochiamo, giochicchiamo. Ci siamo solo noi, ma col tic e tac, quasi mai con tiri in porta. Poi a meno di dieci minuti dalla fine il colpo apoplettico. Un tiraccio di Mustacchio incoccia un tallone di un difensore granata e s’infila beffardo e tutto bianconero sul palo interno caracollando in rete. Il cuore trema.
Io mi alzo e faccio il segno di andarmene. Sono di fianco al forno Melli. Mi vien voglia di piangere. Basta, non guardo sperando nell’effetto San Marino quando ho visto dalle gambe dei presenti il gol di Ricci. Mi nascondo dietro un palo. Il palo portafortuna. Guardo le mani che si alzano poi due oh, ancora un oh, e infine un ohhhhhhhhh. Allora è gol. È il gol granata di Spanò che corre verso i nostro tifosi.
Che scene. San Prospero, ma questa è come Italia-Germania del 1970. Una partita incredibile da spaccacuori, da uomini forti, da tifosi veri. Come il famoso amaro. Mi accerchiano in tanti e mi urlano “Del Bue uno di noi”, poi mi offrono una birra, ne bevo solo un sorso. Prospero santissimo, ma questa è una festa. È già una festa.
Si riprende e la Reggiana è padrona del campo. Discesa sulla destra e Ruopolone la butta dentro. È il suo quattordicesimo gol. E mi trovo sommerso dall’abbraccio dei tifosi dal sapore di birra. Sono sopraffatto da volti a metà tra il cavernicolo e il soave. Tra l’amorevole e il terribile.
Adesso ci siamo solo noi. Mi avvolgono una sciarpa granata al collo, mi travolgono e mi trascinano nel vortice di un entusiasmo mai così forte. Arriva anche il gol di Giannone e la scena si ripete ancora più forte che pria. Mi tolgono la camicia. C’è anche una ragazzina piccola tutta tatuata. Non posso ritrarmi, offro da bere. Non ne avrebbero assolutamente bisogno, ma se lo meritano. Alla fine vedo il sindaco Vecchi tutto impettito. Io sono inzuppato. Le differenza tra un uomo di potere e uno di movimento. Dai, che adesso suona pure il campanone della torre del Bordello. Perché oggi, come diceva un grande scrittore, la campana, anzi il campanone, deve suonare per tutti …
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