Scissione Pd: no, sì, ma…
Con molta chiarezza D’Alema ha smentito di avere ipotizzato una scissione. E men che meno di lavorare per costruirla. Aveva detto in un’intervista che se Cuperlo avesse deciso di portare la propria azione politica fuori dal Pd gli avrebbe dato un mano. Come intendere il senso della frase? I trenta senatori del Pd che si dicono pronti a votare a favore dell’emendamento sul Senato elettivo e che dunque stravolgerebbero la legge così come è stata votata due volte, prima dal Senato e poi dalla Camera, dove hanno intenzione di alloggiare? Bersani direbbe “nella ditta”. Ma anche dopo aver fatto saltare il governo? E dopo avare aperto la strada alle elezioni anticipate alle quali non sarebbero candidati? Oppure pensano, e probabilmente anche a ragione, che il governo non cadrà su una riforma costituzionale, anzi su un articolo di essa, e che se mai Renzi si dimettesse Mattarella non potrebbe permettersi il lusso di sciogliere le Camere e tenterebbe un’altra soluzione governativa? Perché, sia ben chiaro, la vera posta in palio al Senato è politica e riguarda proprio Renzi, l’uomo solo al comando, come l’ha definito Bersani, paragonandolo però al campionissimo. Diciamo la verità, se Renzi ce la fa, si rafforza e i suoi avversari interni, sostituti dai voti verdiniani e di altri donatori, saranno travolti. Come acutamente notava Machiavelli “Le coniurazioni fallite rafforzano lo principe e mandano nella ruina i coniurati”. In questo caso è assai probabile che i coniurati, per salvarsi dalla ruina, usciranno dal Pd. Se Renzi perde si apre uno scenario nuovo, ma è ugualmente difficile che i suoi palesi tiratori la facciano franca. Si scatenerà la caccia al dissidente. Anche in questo caso la permanenza dei senatori avversari nel Pd si farà dura, al limite dell’impossibile. Scissione no? Possiamo anche continuare a dire che il re è vestitissimo, come nella famosa favola. La verità è che era nudo, da capo a piedi.
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