L’Italia che urla e rinuncia
L’Italia che rinuncia al Ponte, l’Italia che rinuncia alle Olimpiadi, dopo aver rinunciato agli Europei di calcio del 2012, l’Italia che rinuncia alla Torino-Lione, l’Italia che rinuncia ai nuovi stadi, che non ha soldi per restaurare i vecchi impianti e che si lamenta. L’Italia che ce l’ha cogli altri: con Bruxelles, con la Merkel, cogli americani perché fanno la guerra e perché non la fanno. L’Italia che si nasconde, che non rischia, che non investe, che non rilancia. L’Italia che si accorge dai morti che esistono i terremoti, dai fiumi esondati che esistono le alluvioni, dagli esodati che una riforma è sbagliata. Il Ponte nasce e muore, poi rinasce e rimuore (oggi Renzi dice che non è una priorità), il Ponte che molti non vogliono perché altre sono le cose da fare, ma alla fine si rischia di non fare né il Ponte né le altre cose. I no Tav che minacciano, che impediscono, che provocano, come i luddisti quando circolavano nell’industria le prime macchine. Le Olimpiadi che sta povera sindaca pilotata da un comico ostracizza come la peste e che avrebbero portato a Roma 1 miliardo e 700 milioni di euro del Cio, sulle quali il governo avrebbe investito assieme ai privati e che a Roma non sarebbero costate nulla e le avrebbero assicurato nuovi impianti e soprattutto la ristrutturazione dei vecchi. Le Olimpiadi cui bisogna rinunciare per via della corruzione a marzo (dichiarazione della sindaca allora candidata) e alle quali bisogna rinunciare a settembre perché costano troppo. E perché altre sono le priorità. Proprio quegli impianti che coi soldi delle Olimpiadi sarebbero stati messi a posto e che si preferisce finanziare coi soldi del Comune che non ci sono. Così non avremo le Olimpiadi e nemmeno i nuovi impianti. Le Olimpiadi dell’Italia che non ce la fa e che francesi e americani aspettano come la manna. La Raggi che rinuncia all’incontro con Malagò, perché non lo vuole ascoltare per paura che la convinca. Grillo che urla, Casaleggio che mette in rete Rousseau, il più creativo, meno informatico e più passionale dei pre romantici, e Di Battista che urla e Freccero che urla e Paragone che urla e Giordano che urla, mentre una volta urlava solo Tony Dallara. No, questa Italia che urla e rinuncia non è la nostra.
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