Migranti: un esodo?
Il flusso migratorio verso l’Italia, porto naturale per coloro che provengono dall’Africa, non é, almeno al momento, un esodo. Lo confermano tutti i dati del Viminale. Vediamoli. Risulta che dal primo gennaio del 2023 all’8 settembre siano sbarcati 127.207 migranti. Difficilmente supereremo il record di 181.436 del 2016. Il fatto é che l’anno dopo ci fu una svolta. Nel 2017 la cifra scende infatti a 119.369. Quell’anno il governo italiano, nel tentativo di contrastare l’immigrazione irregolare in arrivo soprattutto dalla Libia, approva il decreto Minniti, che prevede regole più severe in tema di migrazione, oggi contestate, al pari del jobs act, dalla segretaria del Pd Elly Schlein. Tra queste la creazione di 20 centri per l’espulsione di stranieri non in regola. È anche l’anno del memorandum firmato tra il premier Paolo Gentiloni e il primo ministro libico Fayez al Serraj, che rafforza la cooperazione tra i due Paesi anche in ottica di limitare le partenze dalla Libia. Read the full story »
Quello che Barbero dimentica
Alessandro Barbero é anche uno storico televisivo. Non é semplice unire le due caratteristiche. Molti storici, studiosi e scrittori di migliaia e migliaia di pagine ormai anche ingiallite, non sono personaggi televisivi. Per esserlo non basta sapere, bisogna anche saper comunicare. E farlo in modo chiaro, sintetico e diretto. Alternando date e ragionamenti seri con battute, paradossi e commenti ironici per attirare l’attenzione anche di chi storico non é. Orbene, Barbero, questo fa. E lo si ascolta sempre volentieri. Read the full story »
Io dò i satelliti a te e tu i missili a me
“Mentre noi siamo qui a parlare sul Grappa si muore”, ebbe a dire Turati alla Camera dopo Caporetto e alla luce della sua conversione a combattere una guerra di resistenza all’invasore austro tedesco. Vale per noi. Mentre parliamo, in Ucraina c’é gente che muore per difendersi da una barbara aggressione. Che non accenna a placarsi, perché come ha ieri ripetuto il contestato ministro della Difesa Soighu, e anche i sordi ormai l’hanno capito: “L’unica soluzione é la vittoria della Russia”. Proprio ieri a testimonianza della mancata disponibilità a qualsiasi trattativa Putin ha incontrato il dittatore della Corea del Nord Kim. L’incontro tra il presidente russo e il leader nordcoreano si é svolto nel cosmodromo di Vostochny: lo zar ha promesso “tecnologia spaziale”, il Maresciallo ha mostrato la sua mercanzia facendo sparare due missili dalla Nord Corea. Un baratto che dimostra la volontà di Putin di proseguire ad ogni costo la guerra all’Ucraina. Kim ha offerto aiuto alla battaglia che ha definito “sacra” della Russia contro le potenze occidentali con un riferimento indiretto alla guerra in Ucraina. Putin ha fatto un brindisi al “rafforzamento della cooperazione” con la Corea del Nord e Kim ha risposto con un augurio di “nuove vittorie per la Russia”. Gli Stati Uniti hanno già affermato che un accordo militare tra i due leader isolati condurrebbe a un inasprimento delle sanzioni. L’Onu ha vietato alla Nord Corea di vendere armi all’estero e la Risoluzione 2270 proibisce a Pyongyang di collaborare con qualsiasi altro Stato membro nel campo dei missili balistici “anche se si tratta di lanciare satelliti o veicoli spaziali”. Quella risoluzione venne approvata con il sì della Russia. Evidente che lo scenario sia cambiato e così anche la decisione del leader russo di contraddire se stesso. Putin si è lanciato nell’avventura ucraina e ora è stretto dalle sanzioni occidentali e dalla controffensiva della resistenza ucraina: necessita ora di un partner che condivida la guerra anche offrendo armi (cosa che non ha fatto la Cina). Ora, oltre che sul campo, occorre che si accenda, ma é già in corso, un’attività diplomatica fertile per approfittare di tutte le differenze e anche delle smagliature che il fronte filo russo o anche neutrale può registrare L’incontro di Biden col vice premier cinese Li Qiang nel corso del G20 di ieri l’altro che si é svolto a Nuova Delhi va in questa direzione così come l’incontro tenuto dal presidente americano con il presidente indiano Modi. Staccare decisamente la Cina e l’India dal fronte più o meno anti ucraino potrebbe essere decisivo. Non penso che i governi delle due nazioni saranno insensibili neppure di fronte al baratto di armi e satelliti tra Russia e Corea del Nord. Nel documento finale del G20 c’é una frase condivisa anche da Cina e India che dice: “Tutti gli Stati devono astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza per perseguire l’acquisizione di territori contro l’integrità territoriale e la sovranità o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Nessun accenno all’Ucraina. Ma a buon intenditor poche parole. Qualcosa si sta muovendo e può essere che il ricorso a Kim da parte di Putin sia solo la testimonianza di un nuovo e pericoloso isolamento, più che di un allargamento delle sue alleanze.
Compagno Allende non morirai mai
Avevo anche scritto una canzone dopo il colpo di stato in Cile. Nel 1973 suonavo la chitarra e avevo anche composto un gruppo musicale prevalentemente folk. “Compagno Allende”, diceva la canzone, “non morirai mai, resterai il simbolo di libertà”. Ero rimasto sconvolto da una violenza criminale scatenata contro un governo democratico, che aveva avuto la fiducia del popolo alle elezioni del 1970. Era una via democratica al socialismo che sfidava il metodo castrista e anche quello sovietico. Era il metodo dei socialisti democratici. Per di più Allende era un socialista che capeggiava un governo di Unitad popular che gli Intillimani celebravano così: “Pur que sta vez non se trata de cambiar un presidente sera el pueblo che construja un Chile bien differente”. Mi capitò anche di parlare, poco dopo, in un palasport strapieno e gli altri movimenti giovanili concessero proprio a me il privilegio di intervenire anche a nome loro. In fondo era giusto così. Allende era socialista come me. E c’era Rafael Alberti e appunto gli Intillimani che da allora accompagneranno con le loro musiche tutte le manifestazioni pro Cile. Read the full story »
Secessione?
Dunque é accaduto in Liguria, ma potrebbe accadere anche altrove. Anzi, é già accaduto un po’ ovunque. Un folto gruppo di dirigenti (consiglieri comunali e regionali) hanno lasciato il Pd, dopo che un senatore piemontese Enrico Borghi, pochi mesi dopo la sua elezione aveva abbandonato il partito per aderire a Italia viva, dopo che l’ex presidente del Gruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci aveva sbattuto la porta, dopo che uno dei fondatori, Giuseppe Fioroni, punto di riferimento per l’area cattolica del Pd, aveva deciso di uscire per finire in braccio a Renzi e che, soprattutto, il candidato governatore del centro-sinistra alla Regione Lazio De Luca aveva scelto Azione. Read the full story »
La morte in diretta
Sconcerto, rabbia, dolore per questa atroce ed evitabile ennesima tragedia sul lavoro, anzi sulle rotaie, avvenuta al buio di una notte di settembre del 2023 nei pressi di una stazione di un piccolo centro piemontese chiamato Brandizzo. Il dramma si mischia con una rappresentazione teatrale della morte in diretta ripresa dal più giovane fra le vittime, Kevin Laganà, vercellese, che registra inconsapevole il video della sua morte e si mostra sereno e scherzoso in risposta dell’avvertimento della vedetta Antonio Massa, tecnico di Rete ferroviaria italiana, che é proprietaria e gestrice di tutte le ferrovie nazionali, che aveva avvertito: “Quando dico treno andate da quella parte”. Nessun fremito di paura da parte di Kevin e degli altri, anzi un sorriso e una presa in giro. Forse non era la prima volta. Read the full story »
Schlandini
Strano modo di ragionare quello di Elly Schlein. Lei dice di essere sempre stata contraria al Jobs act (come aveva detto di essere personalmente favorevole alla maternità surrogata) e dunque aderisce al referendum di Landini. Un attimo. Elly è segretaria di un partito politico che il Jobs act ha voluto e votato all’unanimità. Che lei personalmente sia stata contraria non cambia di una virgola il problema. Da quando la Schlein è segretaria del Pd non c’entrano le sue convinzioni personali. Lei parla a nome del Pd. E se su una questione ora non al centro dell’attenzione e dell’attività del parlamento, e cioè la maternità surrogata o l’utero in affitto, passi che esprima pareri personali, la Schlein non può non considerare che una sua adesione al referendum di Landini per la cancellazione del Jobs act sia impegnativa per tutto il partito. E se così è non solo Elly è in contrasto col più recente passato del suo partito, ma dovrebbero pentirsi e cospargersi il capo di cenere coloro che il Jobs act hanno elaborato e votato in Consiglio dei ministri, a cominciare da Franceschini, Orlando e Delrio, e poi tutti i deputati e i senatori del Pd. Un generale autodafè in stile seicentesco. Una purificazione delle anime a causa di una misteriosa e tardiva rivelazione del nuovo segretario. Poco importa che il Jobs act, pure monco di quella seconda parte che avrebbe dovuto sorreggere la prima nel solco di quella flessibilità garantita a cui la legge giustamente si ispirava, abbia contribuito a creare un milione di posti di lavoro, che abbia incrementato il lavoro a tempo indeterminato, che abbia ricoperto di sostegni sia pur minimi i lavori che prima non erano assolutamente protetti, poco importa a Schlandini o a Contini. Del Jobs act si parla solo in riferimento all’articolo 18. Un tabù che per primo il suo estensore Gino Giugni si era impegnato a correggere nella conferenza di Rimini del lontano 1982 perché i 15 dipendenti oltre il quale l’articolo 18 scattava diventava un limite invalicabile per le assunzioni. E perché il mercato del lavoro è profondamente cambiato dal 1970 e stava gia cambiando agli inizi degli anni ottanta. Si è passati da un paese macro industriale a un paese al 95% costituito da piccole e medie aziende. E dunque anche dal punto legislativo bisogna parlare a lavoratori che sono impegnati in attività non sempre garantite, con contratti non sempre sottoscritti alla luce del sole, a tempo parziale e ridotto. Lo scopo del jobs act era quello tendente a creare le condizioni di un contratto unico, come ha sempre suggerito Pietro Ichino, tra lavoratori garantiti e non garantiti e un passo importante in questa direzione è stato fatto. Alla flessibilità garantita serve poi un adeguato periodo transitorio di formazione e questo ancora non è stato sufficientemente messo in atto. Ma il giudizio complessivo sul Jobs act dei giuslavoristi riformisti è positivo. Vedremo cosa succederà dentro il Pd adesso, dopo l’intervista di Bonaccini in cui il governatore dell’Emilia-Romagna invita il suo partito a concentrarsi nella raccolta delle firme a sostegno della legge sul salario minimo e a lasciar perdere il Jobs act. La Schlein farà marcia indietro? O continuerà a formulare opinioni personali a nome del Pd? Farà la segretaria del suo partito o resterà Schlandini?