L’affondo di Amato su Ustica
L’intervista a Repubblica di Giuliano Amato sulla strage di Ustica contiene solo una novità. Non la tesi del missile, delle responsabilità in particolare dei francesi già richiamate da Francesco Cossiga nel 2007 di fronte alle autorità giudiziarie, sulla base di una soffiata del capo dei servizi segreti militari Martini (che Amato ritiene persona “afflitta da problemi bipolari”, perché a lui confidava il contrario) e suffragata dalle indagini del giudice Priore, ma mai provate giudiziariamente, a cui si contrappose l’idea che sia stata una bomba (come sostenuto dall’aeronautica militare italiana) a fare esplodere l’aereo. La novità che riporta Amato, che sposa decisamente la tesi del missile, riguarda il ruolo avuto da Craxi in quel giugno del 1980. Secondo Amato, che però confessa di non avere prove che lo dimostrino, essendo le sue solo deduzioni, fu Craxi, che aveva avuto la notizia attraverso un personaggio del vertice militare, a confessare il rischio a Gheddafi che così in quella giornata del 27 giugno non salì sull’aereo che lo avrebbe fatto volare in territori italiani. Ne sarebbe nata una vera caccia al Mig libico con aerei americani e francesi e ad essere colpito per errore, da un missile “a risonanza” lanciato dai francesi, sarebbe stato il Dc9 dell’Itavia, partito da Bologna e diretto a Palermo, nei cieli di Ustica. Amato non si ferma qui e fa appello alla Francia, e in particolare al “giovane presidente Macron”, perché si difenda o chieda scusa. Le autorità francesi, logicamente, non hanno dato alcun accenno di risposta trincerandosi nel più assoluto silenzio. A tale proposito nascono due legittimi interrogativi. Quarantatré anni dopo, dalle indagini finora terminate con un “non luogo a procedere” nel 1999 per mancanza di imputazioni certe, ma riavviate recentemente dalla Procura di Roma, ancora non é emersa alcuna verità. Possibile che un ex presidente del Consiglio nonché recente presidente della Corte costituzionale, abbia ricavato non sensazioni, non ipotesi, ma prove al punto di chiedere ufficialmente alla Francia un “mea culpa”? E poi, anche alla luce delle successive dichiarazioni dei figli di Craxi, Bobo e Stefania, non vien da chiedersi se Amato non confonda l’avvertimento del 1980 con quello del 1986, quando Craxi, da presidente del Consiglio, e non da semplice segretario del Psi, fece arrivare un segnale a Gheddafi circa un imminente bombardamento americano, che poi egli stesso, che aveva negato l’uso delle basi Nato poste in Italia, condannò? Resta il fatto che Giuliano Amato, personaggio piuttosto schivo e restio a tuffarsi in polemiche pubbliche, non parla mai a vanvera. La Meloni, ovviamente, pretende prove certe prima di assumere qualsiasi provvedimento e Amato non credo abbia alcuna voglia di subire una generale sconfessione senza muovere un dito. Il sasso é stato lanciato. Vedremo dove arriverà.
Super malus
Non voglio negare la validità dei bonus edilizi che hanno consentito un rilancio di un’attività produttiva fondamentale, ridotta a zero durante la pandemia. E nemmeno disconoscere il contributo efficace che il rilancio dell’edilizia ha dato alla ripresa di tutte le attività connesse e allo sviluppo del Pil. Una sola obiezione. L’economia si può rilanciare coi bonus solo nell’emergenza, altrimenti si crea la bonus dipendenza, col rischio di costruire un’economia falsa e pericolosa. Falsa perché non fondata su motivi reali di sviluppo con evidenti contraccolpi che possono esplodere dopo. Pericolosa perché pagata a deficit. E se contribuisce ad aumentare il Pil parallelamente crea nuovo debito. Da questa spirale occorre uscire anche perché se i parametri europei ci indicheranno di ridurre il deficit annuo di 0,5 e non più dell’1%, come sottolinea Cottarelli nella sua esauriente intervista di ieri al Corriere, col 3,7 sul Pil previsto dal governo si otterrebbe una netta diminuzione dell’avanzo primario, cioè dell’indebitamento complessivo con l’esclusione degli interessi, e non certo in linea con le supposte previsioni europee. Di tutti i bonus quello che allo stato costa di più (addirittura 105 miliardi di euro secondo la Meloni) é il cosiddetto Superbonus al 110% delle spese. Cioè lo stato per l’efficientamento energetico degli edifici, comprese le spese per le nuove facciate, rimborsa il 10% in più delle spese. Lo stesso Draghi, che pure era costretto a subire l’influenza dei Cinque stelle, patrocinatori di tutte le spese e irresponsabilmente indifferenti alle entrate dello stato, lo aveva definito un errore. Read the full story »
Per Farri
Come ogni anno ho partecipato all’iniziativa di ricordo del sindaco socialista di Casalgrande Umberto Farri, barbaramente ucciso in casa sua il 27 agosto del 1946. Ringrazio il nuovo sindaco di Casalgrande e la sua amministrazione, che già ha manifestato una sensibilità storica e politica intestando a Farri la sala del Consiglio comunale, per aver iniziato, già dallo scorso anno, a promuovere questo momento di ricordo. I socialisti hanno contribuito a tenerne viva la memoria da sempre. In pochi, in molti, a partire da Simonini e Amadei, hanno tenuto fede all’impegno di non cancellare né la figura di Farri e né la crudeltà del suo omicidio. Non chiedo più, come ho fatto per decenni, verità e giustizia. Sono trascorsi 77 anni. Troppi. Pretendo rispetto, solidarietà, coerenza. Si é tentato per anni di derubricare il delitto di Farri ad una sorta di delitto comune, opera di una banda di gestori di un mercato nero. Se fosse stato così il delitto sarebbe stato svelato. In realtà quello di Farri fu un delitto politico coperto da un clima di omertà che vigeva in paese. Molti sapevano e nessuno parlava in nome di una fede che obbligava a non denunciare i compagni dello stesso colore. In quel periodo un altro sindaco socialista democratico, Egisto Lui, di Reggiolo, fu vittima dello stesso attentato, fortunatamente non mortale. C’era chi intendeva continuare a sparare dopo il 25 aprile e chi, come Farri, invece, intendeva costruire la democrazia. Farri era in quel periodo presidente del Comitato di liberazione nazionale, e sindaco lo era stato già nel 1920, cacciato dai fascisti l’anno dopo e anche licenziato dal suo posto di lavoro nel Canale di Reggio. Politicamente vinse la democrazia, ma ci furono vittime, seminate dall’altra tendenza, tra le quali Farri. Chiedo, pretendo coerenza nel valutare Farri martire della democrazia, vittima della violenza e dell’intolleranza politica. Chiedo, pretendo rispetto e solidarietà a chi da decenni ne ricorda la figura e il martirio.
La vendetta del re non poteva tardare
Nel Don Carlo di Verdi il marchese di Posa mormorò a Don Carlo dopo essere stato colpito a morte da uno sgherro di Filippo II: “La vendetta del re non poteva tardare”. Non capisco come Progozinh, capo della famigerata Brigata Wagner, che aveva clamorosamente disobbedito al Cremlino allestendo una marcia che poteva anche concludersi con la presa del potere, anche se l’interessato ha sempre smentito, potesse aspettarsi una fine diversa. D’altronde, come diceva Machiavelli “Le coniurazioni fallite rafforzano lo principe e mandano nella ruina li coniurati”. Difficile però anche parlare di una congiura fallita, dal momento che l’anomalia della marcia di Prigozinh e dei suoi mirava solo alla sostituzione del ministro della Difesa Soigu. Cioè a quel che da noi viene chiamato un rimpasto. Non esiste però un precedente storico in un cui per reclamare un rimpasto si mette in moto una marcia armata con migliaia di uomini dotati di fucili, di bombe e di mitragliatrici. Read the full story »
A proposito di libertà
Ho letto dichiarazioni irresponsabili, a proposito del caso Vannacci, sul tema della libertà di opinione. Scrivere che una persona di colore, anche se italiana, non rappresenta l’italianità, in quanto opinione soggettiva, rappresenterebbe un libero pensiero che, in quanto tale, non andrebbe censurato. Anche se espresso da un generale dell’esercito della Repubblica italiana, ovvero in fondo da un dipendente dello stato, al pari di un insegnante, di un giornalista Rai, di un dirigente di un ministero, di una regione, di un comune. Osservo che, come scrive opportunamente il filosofo liberale Karl Popper, non esiste la libertà assoluta. La libertà, infatti, in qualsiasi sistema liberale, é sempre regolata da leggi, e dunque sempre limitata. Dal dibattito paradossale di due filosofi settecenteschi incentrato sul fatto se la libertà fosse anche quella di dare l’uno un pugno sul naso dell’altro si stabilì che la libertà dell’uno finisce dove comincia il naso dell’altro. Ma neanche sul piano dell’espressione del pensiero la libertà é assoluta. Pensiamo a un insegnante che sostiene il diritto di Hitler a gasare gli ebrei, o quella di un altro che ritiene giustificati i crimini di Stalin. Read the full story »
Il generale e il femminiello
Intendiamoci. Qualsiasi persona ha il diritto di esprimere le sue opinioni, tanto più in un libro in cui l’autore é anche l’editore e l’impaginatore e il correttore di bozze. Anche un generale a capo dei paracadutisti della Folgore? Può costui scrivere pensieri razzisti, omofobi, aggressivi, intolleranti in modo così ingiurioso? Il ministro della Difesa Crosetto pensa di no, in quanto il generale con le sue idee finisce per gettare discredito sull’esercito, la difesa e la Costituzione. E ha avviato subito un esame disciplinare. Il generale si chiama Roberto Vannucci, ha 55 anni, é spezzino. Il libro incriminato si intitola “Il mondo al contrario”. Read the full story »
Antifascismo e anticomunismo
Dire che Galli della Loggia ha ragione col suo articolo sul Corriere, quando pretende che alla legittima richiesta di far leva sull’antifascismo (usato contro un governo di destra che pare sempre in imbarazzo quando se ne fa cenno) si abbini analoga richiesta di professione anti comunista, é doveroso. Non basta essere antifascisti, infatti, per essere democratici. Bisogna essere anche anti comunisti, visto che i sistemi comunisti in tutto il mondo la democrazia l’hanno decisamente calpestata. Galli della Loggia si chiede perché questa semplice consapevolezza in Italia non venga mai richiesta. Mentre quando si parla di terrorismo e lo si definisce fascista (anche se i fascisti del passato regime non hanno mai messo bombe in una stazione) non si qualificano le brigate rosse come comuniste (anche se il loro appellativo era Partito comunista armato). Questo aggettivo “comunista” in Italia richiama la storia di un grande partito che ha deciso di cambiare nome solo dopo la fine del comunismo, anche se coi sistemi dell’Est aveva rotto (ricordiamo lo strappo di Berlinguer, come lo definì Cossutta, dopo il colpo di stato militare in Polonia del 1981). Read the full story »