La Meloni dichiara che “il 25 aprile (é) momento di ritrovata concordia nazionale… celebrazione della nostra ritrovata libertà… il 25 aprile é stato e rimane l’affermazione dei valori che il fascismo aveva conculcato e che sono scolpiti nella Costituzione… la destra da trent’anni é incompatibile con qualunque nostalgia del fascismo”. Colui che trent’anni fa fece lo strappo, Gianfranco Fini, si compiace. La Meloni fa visita alla partigiana Paola Del Din, della famosa brigata Osoppo, che ha conosciuto gli orrori del nazifascismo e le persecuzioni dei comunisti. E richiama anche le foibe e i delitti del dopoguerra. Ma invita gli italiani a mostrarsi compatti contro un nuovo fascismo imperialista, quello di Putin, mentre La Russa é a Praga a rendere omaggio al martire del 1968 Jan Palach e, dopo sgangherati errori storici da matita bleu e dopo aver profferito rumorose insensatezze, il presidente del Senato arriva ad ammettere che “la Resistenza é un valore assoluto”. Mettiamo insieme i pensieri. Anzi, le parole. Perché a queste si fa riferimento. E’ vero, non c’é l’aggettivo qualificativo “antifascista”, come Pd e sindaco Sala fanno notare polemicamente. E’ vero, la Meloni ha preferito far visita a una partigiana della brigata Osoppo e lei ha poi dichiarato che “il comunismo é una dittatura come il fascismo”, piuttosto, che so, andare a Campegine al museo dedicato al martirio dei Fratelli Cervi. E’ vero che una parte dell’elettorato della Meloni oggi, così come una parte dell’elettorato di Fini allora, considera già queste frasi come una prova di tradimento. Ed é altresì vero che quando si parla di foibe non si parla di Resistenza. Tuttavia non c’é dubbio che cercare sempre il pelo nell’uovo con un atteggiamento da professori che correggono le singole lettere che compongono le singole parole ha il sapore della presunzione di innocenza e coerenza assolute. Cosi non é neanche nel fronte antifascista, se é vero che, come al solito, in qualche corteo sono state oltraggiate le bandiere americane che dovrebbero invece essere salutate dall’entusiasmo dei presenti dato il contributo determinante degli eserciti Usa alla liberazione dell’Italia e che non sono mancati, come al solito, fischi alla brigata ebraica, che a Milano é stata scortata da un plotone di polizia, doverosamente presente perché ha combattuto per la libertà di tutti gli italiani. E neppure sono mancati cartelli che rimandano gli uomini di governo a Piazzale Loreto. E che dire dei soliti striscioni “Giù le armi, inizi subito un negoziato”, a proposito dell’Ucraina, che ho visto presenti nel corteo della mia città, in assenza assoluta di qualsiasi scritta inneggiante la resistenza del popolo di quel paese? Sarebbe come aver detto ai partigiani italiani: “Giù le armi, inizi subito un negoziato cogli invasori tedeschi”. Chiunque avesse sostenuto una tesi simile sarebbe stato processato giustamente. E magari anche passato per le armi. Ciò che manca all’antifascismo senza il fascismo é la definizione di una politica comune. Soprattutto di ideali condivisi. C’é un antifascismo coerente che proclama libertà e indipendenza per tutti i popoli del mondo appoggiando tutte le resistenze, ma c’é anche un antifascismo ipocrita, che ieri non voleva battersi contro l’islamismo e oggi si rifiuta di appoggiare la lotta per l’indipendenza ucraina. Se non a parole. Perché entrambe fuoriescono dai loro schemi dogmatici. Anche nel 1943-45 c’erano gli antifascisti a parole che per paura o per indole non sono scesi a combattere armi in pugno e poi sono saliti sul carro dei vincitori. Oggi ci sono coloro che pensano, per ragioni di bandiera, di sostenere una lotta armata solo con le parole. Ma neanche quella di “antifascista” servirebbe alla causa.