Legge per i diritti televisivi del calcio
Signor presidente, signor ministro dello Sport e delle telecomunicazioni,
credo che esista una grave contraddizione tra i consensi che la legge ha determinato a livello di commissione parlamentare e la richiesta di delega da parte del Governo. Se questa fosse stata una legge d’iniziativa parlamentare noi l’avremmo votata, perché ne condividiamo i contenuti. Il governo ha preferito invece arrogarsi il merito di tale provvedimento legislativo e ci pare che tale decisione di espropriare il Parlamento non sia né giusta né opportuna. La maggioranza poteva portare a casa un risultato, che oltre al merito della legge in sé, era quello di allargare i confini della propria maggioranza, per di più in un settore così caratterizzato da popolarità e da interessi che non possono essere racchiusi nell’attuale schema politico. Votare a maggioranza una legge sullo sport lo ritengo un fatto negativo. Lo sport affratella le genti e anche in Italia, vista la prerogativa autonoma del governo sportivo affidato al Coni, non dovrebbero esserci quelle differenze che si registrano in altri campi e che sono il frutto di appartenenze politiche. La richiesta della delega introduce invece un elemento di divisione politica ed è un vero peccato. E secondo me è anche un errore politico del governo. Capisco che il nuovo ministro dello Sport, del quale ho salutato con piacere l’avvento, non essendo un parlamentare che si benda gli occhi sui temi dell’autonomia del Coni, prevista dalla Costituzione al pari di una vigilanza esercitata dal governo, mai di fatto messo in condizione di praticarla, capisco che il nuovo ministero dello Sport aveva bisogno di mettersi all’occhiello il fiore di una legge di rinnovamento. E capisco che questa legge è una giusta risposta ai riequilibri più volte sollecitati da un mondo, parlo in particolare di quello del calcio, che ha dimostrato, da solo, di non riuscire a risolverli. Non è un caso che parole di apprezzamento per la legge siano venute dal commissario della Federcalcio Pancalli e, sia pur parzialmente, anche dal presidente della Lega Matarrese. Ritengo tuttavia che una legge parlamentare di ampie intese avrebbe meglio corrisposto a tali esigenze. E non si adduca a pretesto per la delega, quello secondo il quale vi erano minoranze che non si erano dichiarate d’accordo con il contenuto della legge stessa, giustificazione che ho ascoltato in qualche dichiarazione. Vi era un contenuto, lo ha ricordato l’on. Pescante, che ci unificava al 90%. Non bastava? E poi, se anche vi fossero state forze in dissenso, non si poteva ugualmente approvare un provvedimento ad ampia maggioranza? Sono domande che trovano risposte non convincenti.
Vengo al merito del provvedimento. Cioè alla parte del consenso e dell’apprezzamento. La legge non riguarda solo il calcio, ma anche il basket. Si è deciso di accogliere una richiesta che ci è pervenuta in tal senso dal presidente della Lega basket Enrico Prandi, al quale non si può negare quel che si concede al presidente della Lega calcio. Si tratta di due discipline diverse, anche per problematiche, ma unite nell’idea che la trattativa sui diritti televisivi per gli eventi sportivi non possa più essere libera, a discrezione del rapporto tra la singola società e la singola televisione. Questo ha infatti determinato, nel recente passato, una situazione che ha ancor più allargato le distanze tra le grandi e le piccole società della serie maggiore, che ha accentuato ancora di più i già profondi solchi aperti tra la serie A e la serie B da un lato e le serie minori dall’altro. Queste ultime, in particolare, nel mondo del calcio, si sono venute a trovare in una situazione davvero paradossale. Non hanno usufruito di un vantaggio minimo di carattere finanziario per la presenza della televisione a pagamento e nel contempo hanno visto, proprio a causa della contemporanea diffusione delle partite in diretta della massima serie, uno svuotamento dei loro stadi, e una conseguente forte diminuzione dei loro incassi. Insomma hanno registrato un doppio assurdo svantaggio. Uno svantaggio che si somma a quello determinato dalla cosiddetta Legge Bosman, che ha abolito il concetto di proprietà dei calciatori attraverso i cartellini, vincolando gli stessi solo ai contratti. Questo ha messo in condizione le piccole società di non poter più vendere i loro gioielli alle grandi, che possono invece generalmente acquisirli a fine contratto o a un prezzo infinitamente inferiore la passato per la possibilità di acquisirli a fine contratto a costo zero. Dunque il mondo dello sport professionistico, in particolare quello del calcio, vive una crisi di crescita che penalizza i piccoli e avvantaggia i grandi. Noi non possiamo voltarci dall’altra parte. Sappiamo che in Italia falliscono mediamente otto, dieci società professionistiche di serie C1 e C2 all’anno. Saltano per aria perché queste categorie sono ingestibili. O ci sono presidenti che hanno soldi da investire per tentare di uscire dal pantano e hanno pazienza e ancora soldi per rimanerci oltre il previsto, o altrimenti, dopo qualche tentativo molte società, preferiscono usare il lodo Petrucci e ripartire dalla categoria inferiore, fallendo. Anche per questo ho personalmente avanzato in Commissione la proposta di considerare una quota di sussidiarietà a favore delle categoria minori, che oggi sono quelle che si trovano in maggiore difficoltà, e se una critica al contenuto di questa legge si deve fare è, a mio giudizio, proprio quella di avere previsto una quota ancora non sufficiente a tale scopo.
Condivido personalmente anche l’idea che è stata invece contestata dalle forze di minoranza, l’unica questione di vera e palese divisione, e cioè quella relativa alle quote fissate per legge. Non solo perché se questo mondo chiede a noi una legge per centralizzare la contrattazione dei diritti televisivi vuol dire che non è in condizione da solo di procedere con le vecchie norme e dunque se non è in condizione di procedere con le vecchie, non si capisce perchè possa poi farlo con le nuove e proprio sulla materia più delicata che è quella della ripartizione dei fondi centralizzati. Ma anche perché noi stessi riteniamo che, se è sbagliato che il pesce grande si mangi i piccoli, è altrettanto sbagliato considerare uguali tutti i pesci. Per questo si sono definite quote che tengano presenti tali diversità, che non vanno certamente ignorate o penalizzate.
Da ultimo vorrei sottolineare un paio di questioni che hanno a che fare con i diritti televisivi. La prima è quella del forte calo del pubblico negli stadi, caso solo italiano nel panorama europeo. Io penso che sia dovuto soprattuto a due fattori: il divario tra prezzi per comprare una partita in televisione o quelli per entrare allo stadio. Questi ultimi appaiono i più alti d’Europa in rapporto al costo medio della vita. La seconda motivazione sta nella natura obsoleta degli stadi italiani, i più vecchi d’Europa, anche se sono tra i più recenti, i meno accoglienti, spesso autentiche cattedrali nel deserto (vedi quello di Bari, caro presidente di Lega). Insomma le società non possono far finta di niente e parlo di quelle di A e di B. Se dalle televisioni oggi ricavano oltre il 70 per cento dei loro proventi e gli incassi e gli abbonamenti coprono si e no un quindici per cento dei loro bilanci, ci pensino. Forse il prezzo dei biglietti è ancora troppo caro. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. E soprattutto con gli stadi vuoti si uccide lo sport che ha bisogno anche del pubblico per vivere, essendo il pubblico una delle componenti fondamentali dell’evento sportivo. Andiamo verso gli Europei del 2012 e si parla di nuovi stadi. Non si commetta l’errore di Italia 90. Si sappia che in Italia oggi servono stadi più comodi, senza piste per l’atletica, più moderni, capaci di vivere tutti i sette giorni della settimana e che per questo sono disponibili risorse private. Oggi in serie A non c’è quasi presidente che non chieda alle amministrazioni comunali di costruire uno stadio dotato di centri commerciali, di servizi vari coi quali rientrare dall’investimento. Lo Stato sarebbe in condizione di non usare se non marginalmente risorse pubbliche. Si vada dunque in questa direzione e si costruiscano impianti privati (questo vale anche per i Palasport) gestiti dalle società alle quali affidare, il modello tedesco dei mondiali mi è parso davvero molto efficace, la salvaguardia della sicurezza interna e l’ordine pubblico.