Proposta di legge: Concessione di indulto
(A.C. 525-bis)ed abbinate (A.C. 372 – 662-bis – 663-bis – 665-bis – 1122-bis – 1266-bis – 1323-bis – 1333-bis);
25-7-2006 Esame articoli
Signor Presidente,
anche noi avremmo preferito che oggi giungesse in Assemblea un provvedimento di indulto senza esclusioni, così come sottolineato prima dall’onorevole D’Elia della Rosa nel Pugno. L’indulto interviene sulle pene e non già sui reati e, quindi, è abbastanza discutibile che da questo provvedimento vengano escluse alcune tipologie di reato.
Pur tuttavia, voteremo a favore di questo provvedimento e contro gli emendamenti che sono stati presentati. Riteniamo, infatti, che esso sia un punto d’intesa importante e utile, affinché si risponda concretamente ad un’esigenza, in questo momento assai diffusa e profonda, della popolazione carceraria, che è aumentata sempre più, anche a seguito di mancati provvedimenti di amnistia e di indulto, che nel corso degli ultimi anni il Parlamento ha costantemente evitato o rinviato.
È evidente – e mi pare di cogliere l’essenza politica di questo dibattito – che una parte dell’attuale maggioranza, che fa capo all’onorevole Di Pietro, ricongiungendosi in questo con la posizione più naturale della destra politica italiana, si opponga a questo provvedimento, non già per l’indulto in sé, ma perché esso non esclude quegli stessi reati che l’onorevole Di Pietro ha perseguito per anni come magistrato del pool «mani pulite» e sui quali ha costruito la sua carriera politica.
Egli mi ricorda un vecchio partigiano che vive sempre nel ricordo delle imprese della guerra di liberazione. Per Di Pietro quei ricordi sono rappresentati dalle sue iniziative giudiziarie degli anni Novanta, quando divenne improvvisamente un eroe popolare, forse il più popolare degli italiani. Certo, egli non può accettare che in questo provvedimento di indulto – e lo capisco bene – non vengano esclusi i reati che l’hanno fatto “grande”. Faccio solo una notazione, non temporale, ma politica: l’ultimo provvedimento di perdono e di amnistia è stato adottato in Italia il 10 aprile 1990, cioè due anni prima che esplodesse la cosiddetta Tangentopoli.
L’Italia è priva di provvedimenti di clemenza, di indulto o di amnistia, dunque da 16 anni: non era mai avvenuto nella storia del nostro Paese, perché la distanza che ha separato un provvedimento di perdono da quello successivo era stata, al massimo, di otto anni. Ad esempio, al decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1970, n. 283, mediante il quale si intervenne nei confronti dei movimenti operai e studenteschi del 1968 e degli episodi di violenza che si erano verificati in Italia, era seguito il decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1978, n. 413 (subito dopo l’assassinio di Aldo Moro e, quindi, in pieno terrorismo), che, ovviamente, escludeva dall’indulto proprio i reati concernenti il terrorismo.
Ebbene, sono passati sedici anni dall’ultimo provvedimento di clemenza della Repubblica italiana. A mio giudizio, ciò è avvenuto perché quella parte di destra che si è installata, diciamo così, nella sinistra, ha culturalmente pervaso larga parte della sinistra italiana: il suo atteggiamento giustizialista, non di garanzia del singolo cittadino, il suo atteggiamento non favorevole a provvedimenti di perdono, di indulto e di amnistia, sanciva l’esistenza di una posizione «pura». Oggi, vorrei che tutti si rendessero conto di come questa congiunzione, o ricongiunzione, della destra politica italiana con l’Italia dei Valori, ed il distacco da tale posizione di gran parte della sinistra italiana, riconsegni quest’ultima, per alcuni aspetti, alla sua tradizione, profondamente segnata dal rispetto dei diritti di tutti i cittadini, delle garanzie costituzionali e della libertà di ognuno di noi. Nonché da un sentimento di pietas che dovrebbe non mancare in nessuno
Con questo mio breve intervento desidero manifestare l’adesione del mio gruppo al provvedimento di indulto in esame. Speriamo che esso non incontri altri ostruzionismi. Onorevole Di Pietro, in genere, gli ostruzionismi li fa un esponente dell’opposizione, non un ministro di un Governo in carica. Allo stesso modo, in genere, i sit-in li organizzano gli esponenti dell’opposizione parlamentare (quando non sono troppo notabili…), ma non credo che li possa promuovere un ministro in carica se non ha il coraggio di mettere in discussione anche la sua poltrona. Non si è mai verificato, in Italia, che un ministro protesti con i sit-in davanti al Parlamento della Repubblica, in camicia, poi si rimetta la giacca e sieda tranquillamente nella sedia del governo in Aula. Se proprio si vuol togliere nuovamente la toga lo faccia e se ne vada. Lei, ministro auto-sospeso Di Pietro, ha definito in un modo davvero inusuale la situazione che vive all’interno del Governo. Scrive Di Pietro: «Non ritiro l’Italia dei valori dal Governo e sono ostaggio di una situazione che mi fa schifo». Non è linguaggio da ministro della Repubblica. Se proprio la situazione è così – come dice lei – schifosa, dovrebbe risolvere il problema semplicemente presentando una lettera di dimissioni. Ma a questo siamo oggi in Italia! Questa è l’Italia delle contraddizioni e, quindi, non ci stupisce un simile atteggiamento.
Noi voteremo a favore del provvedimento in esame anche per ricongiungerci all’appello che Giovanni Paolo II ci rivolse, in quest’aula, per un atto di clemenza nei confronti del popolo delle carceri. Sono passati troppi anni da allora: ritengo sia giunto il momento di dare una risposta al popolo delle carceri ed anche a quel grande Papa che fu Giovanni Paolo II (Applausi dei deputati dei gruppi della Democrazia Cristiana-Partito Socialista, de La Rosa nel Pugno e dei Popolari-Udeur)!