Ungheria ieri e oggi.
Signor presidente,
“Se sono rispettabili tutte le tradizioni, come ha precisato l’on. La Russa, quella del socialismo democratico non è solo rispettabile, ma anche limpida e apprezzabile, al contrario di altre. Prendo la parola per portare la voce socialista in quest’Aula, che è una voce particolarmente significativa, perchè la tragedia ungherese fu la fonte della politica autonomista di Nenni e anche del giovane Craxi. L’autunno ungherese rafforzò la convinzione che il rapporto Kruscev sui crimini di Stalin, al XX Congresso del Pcus del gennaio del 1956, era ancora inserito nei confini del sistema, cioè relegato alla contestazione del solo culto della personalità. Il sistema sovietico rilevò la propria natura in occasione della dura e sanguinosa repressione che i carri armati dell’Urss adottarono a fronte della rivoluzione ungherese di Imre Nagy. Si rilevò che comunismo e democrazia erano fattori non conciliabili, ma assolutamente incompatibili. Nenni e la maggioranza del Psi furono dalla parte degli insorti, Togliatti e il Pci dalla parte degli aggressori. E con Togliatti, anche e soprattutto Ingrao e Napolitano, i quali hanno poi riconosciuto il grave errore compiuto.
La revisione del pensiero è sempre apprezzabile, ma la coerenza, frutto del coraggio di aver avuto ragione prima, lo è certo assai di più. La maggioranza del Psi guardò subito a Saragat e a Pralognan nacque, nell’incontro immediato tra Nenni e Saragat, la politica dell’unificazione socialista che poi, tra contraddizioni e ostacoli, si celebrò solo dieci anni più tardi e fu nuovamente messa in discussione. E guardò anche ai cattolici e ai democristiani nei confronti dei quali iniziò la politica del dialogo, i cui prodromi già erano stati sanciti dal congresso di Torino del 1955, e che prenderà forma politica attraverso i primi governi d centro-sinistra degli inizi degli anni sessanta. Perché non riconoscere l’esistenza di un furore ideologico che ha ammorbato l’atmosfera a sinistra alla luce di queste scelte, giuste, vincenti, anche se impopolari, allora. E come giudicare, invece, i timidi turbamenti che si manifestarono nel Pci solo a partire dal 1968, con il documento che criticava assai debolmente la nuova invasione della Cecoslovacchia definita “intervento sovietico”. Oggi quest’Aula è sostanzialmente compatta nella condanna di quella repressione e nella solidarietà agli insorti e al suo leader, impiccato nel 1958 dopo un processo sommario. Siamo lontani dal clima di quel novembre del 1956 quando, in quest’Aula, l’on. Giuliano Paletta terminò la sua arringa difensiva a favore dell’Urss con un “Evviva l’Armata rossa”. Anche se suscita un certo effetto l’intervento del rappresentante del Pdci, che si ispira ancora al cosiddetto giustificazionismo storico e iscrive il suo partito all’internazionale neo stalinista. Suscita un effetto ancora maggiore il fatto che si tratti di un partito di governo, di un governo che annovera, così, tra i suoi componenti un partito che ancora non condanna la carneficina di Budapest e si limita a delegare alla storia un giudizio che la storia ha già abbondantemente certificato. Io vorrei che la sinistra italiana potesse fissare nel suo cuore e nella sua mente gli eroi di quella insurrezione, vorrei che le sezioni dei Ds fossero oggi intestate a Imre Nagy, a Giuseppe Saragat, a Pietro Nenni, a Bettino Craxi, a coloro che ebbero ragione, quando i padri di coloro che lo guidano e parte di quegli stessi di allora, ebbero così clamorosamente torto. E’una speranza vana? E per concludere, signor Presidente, le rivolgo un sincero apprezzamento per avere fissato questa celebrazione, e per aver costretto i partiti di oggi a parlare del passato, di quel passato che è parte integrante di una identità, una identità della quale gran parte dei partiti di oggi sono privi. I partiti politici italiani, in parte senza passato, perchè nati ieri o l’altro ieri, e in parte con un passato da farsi perdonare, gli smemorati e i neonati senza storia, di fronte a questi fatti, sono assolutamente privi di credibilità. Noi, socialisti autonomisti e democratici, mostriamo invece le nostre scelte come le più credibili. Abbiamo una storia, una identità. In Italia e in Europa. E alle spalle una tradizione viva e vincente”.