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Audizione del ministro dello sport e giovani Giovanna Melandri

Intervento in commissione cultura a seguito dell’audizione del ministro dello sport e giovani Giovanna Melandri

11-7-2006

Credo che oggi sia difficile iniziare un intervento senza fare riferimento alla gioia che ci ha pervaso nell’assistere alla vittoria della nostra nazionale di calcio, ai mondiali di Germania. Lo faccio anche visivamente, indossando una cravatta azzurra che il sottosegretario Lolli ha definito un po’ troppo laziale (probabilmente lui è romanista…). Ricordo che questo quadratino bianco potrebbe essere in linea con la tenuta indossata dalla nostra nazionale in occasione della partita con l’Australia: maglia azzurra e calzoncini bianchi. Dunque, la mia cravatta è assolutamente poco laziale e molto nazionale…!.
Il ministro Melandri bagna il suo debutto nel neoministero dello sport con la vittoria più importante per lo sport italiano, conseguita nello sport più popolare e nella manifestazione più seguita dagli italiani e, ormai, da tutte le popolazioni del mondo, anche quelle poco propense ad innamorarsi del gioco del calcio, come la statunitense, o addirittura da parte di popolazioni africane o indiane, che ho visto esultare per la vittoria dell’Italia.
Bisognerebbe consigliare a De Gregori di riscrivere il testo di una sua famosa canzone: «Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore». Ebbene, i mondiali li abbiamo vinti proprio grazie a questo particolare, che non è affatto insignificante e ci ha consentito di portare a casa la coppa del mondo e di esultare in tutte le nostre città.
ANDREA MARTELLA. Anche grazie all’altruismo e alla fantasia…
MAURO DEL BUE. Certo, anche per l’altruismo e la fantasia. In questo caso, però, se non ci fosse stata la freddezza dei nostri cinque frombolieri in occasione dei calci di rigore, non avremmo portato a casa la coppa. Certo, anche con l’ausilio di Trezeguet. Probabilmente aveva ragione Domenech a non volerlo mettere in squadra: Trezeguet è nato tra la fine di novembre e la fine di dicembre e Domenech, essendo uno studioso degli astri, lo riteneva poco propenso a fare il bene della sua squadra.
Al di fuori della retorica, mi preme sottolineare alcuni aspetti che mi paiono abbastanza nuovi. Premetto che ormai non c’è più solo la televisione, ma anche i maxischermi. Dai conti fatti dai giornali sportivi – lo leggevo oggi su La gazzetta dello sport -, ad aver visto quella partita sarebbero stati 35 milioni di italiani, 8 milioni in più del record raggiunto da Italia-Argentina, semifinale della coppa del mondo del 1990. Sono 23 milioni e 900 mila coloro che hanno guardato la partita sulla RAI, 1 milione e 900 mila coloro che l’hanno seguita su Sky, mentre il resto si sarebbe radunato di fronte ai maxischermi. Dico questo perché, contrariamente agli altri campionati del mondo, in particolare a quello vinto nel 1982, ma anche a quello disputato in Italia nel 1990, il nuovo fenomeno dei maxischermi produce un incremento ulteriore del pubblico televisivo, poiché di fronte ai maxischermi si concentrano decine di migliaia – a volte, come nel caso di Milano e di Roma, centinaia di migliaia – di sportivi.
Al riguardo, la prima cosa che vorrei sottolineare, fuor di retorica, è la seguente: c’è stata una riscoperta del tricolore. Sono uno di quelli che, essendo nati “prima” del 1982, ho vissuto anche l’emozione di quell’anno, ma rispetto a quella vittoria c’è stata una riscoperta non problematica del tricolore. Mentre, nel 1982, l’aver accettato di sventolare la bandiera italiana era quasi il frutto di una discussione, di una scelta che veniva dopo gli anni in cui il tricolore, per molti aspetti, aveva significato il simbolo di una parte politica contro un’altra, oggi l’aver accettato il tricolore come simbolo nazionale è un fatto scontato. Non credo ci sia qualcuno che possa mettere in discussione questo, e la quantità dei tricolori sventolati ieri al Circo Massimo – lei, signor ministro, era presente – ne è un’eloquente dimostrazione.
In secondo luogo, ho visto nella mia città – la cosa mi ha anche emozionato – molti uomini di colore con la maglia azzurra e la bandiera tricolore in mano. Ormai le nostre città, soprattutto al Nord, hanno un’alta percentuale di extracomunitari, soprattutto africani. Ciò non si era verificato certamente nel 1982, dunque anche questa è una novità: uomini di colore in Italia, che non solo sono italiani e parlano la nostra lingua, addirittura con la nostra cadenza e con i nostri dialetti, ma che si identificano a tal punto con la storia del nostro Paese da scendere in piazza, in occasione della vittoria più bella, con la bandiera tricolore in mano. Non so se noi fra 10, 15 o 20 anni saremo o meno – non lo ritengo assolutamente un male – nelle condizioni della Francia, che registra la presenza di un’altissima percentuale di uomini di colore nella sua nazionale. Certamente, anche l’Italia, nel giro di un numero di anni che non so precisare, potrà avere una nazionale di calcio multietnica.
La terza considerazione – penso al pluricitato Gattuso – è che questa grande prova di orgoglio e di forza della nazionale italiana si è manifestata dopo la vicenda di «calciopoli», che pareva aver messo in ginocchio la nostra nazionale nel momento della prova più difficile, quella di un campionato del mondo. Gattuso, però, sostiene che, se non ci fosse stata quella vicenda, i giocatori non avrebbero trovato la forza e la grinta per compattarsi e per dimostrare all’Italia intera di essere calciatori seri, professionisti seri, una nazionale in grado di corrispondere alle attese vere, genuine e pulite degli sportivi. Quindi, dobbiamo dire «grazie» a Moggi se abbiamo vinto i mondiali? Naturalmente è un paradosso – a mio parere anche piuttosto divertente -, ma se si sostiene che, senza «calciopoli», non avremmo vinti i mondiali, allora grazie a chi ha creato «calciopoli», che ci ha dato la possibilità di farlo…!.
Vengo, quindi, alla questione dell’amnistia. Oggi ci troviamo di fronte a un problema, nel senso che alcuni (pochi, per la verità) esponenti politici, come è successo in occasione di altre vittorie importanti della nostra nazionale – penso all’amnistia del 1968, dopo la vittoria agli europei -, propongono una misura di perdono generalizzato. Personalmente, sono contrario all’amnistia, anche se non sono mai stato contrario al perdono, perché l’amnistia è uno strumento che non ripaga i torti. Permettetemi di chiarire questo concetto: mentre nell’amnistia extrasportiva noi possiamo perdonare, amnistiare o fare indulto, nei confronti di una popolazione che è in carcere, in condizioni particolarmente disastrate, pur avendo commesso, nella maggior parte dei casi, reati non gravissimi, qui ci troviamo di fronte ad una serie di società che hanno subito dei torti. L’amnistia riporterebbe tutto al punto di partenza, perdonerebbe coloro che hanno commesso dei reati, ma non risarcirebbe coloro che hanno subito dei torti. E questo mi pare sbagliato.
Ci sono squadre che, alla luce di certi sistemi, hanno subito delle retrocessioni. Tali retrocessioni, in una gara non truccata, sono assolutamente normali e accettabili, ma in una gara truccata non sono accettabili, dunque queste società devono essere risarcite. Ecco perché sono contrario, in questo momento e in questo settore, all’amnistia. Penso, però, che vi debbano essere – non è mio compito entrare nel merito delle condanne richieste dall’accusa – delle sentenze eque e giuste. Al collega Bono voglio dire che noi non dobbiamo avere delle sentenze esemplari, perché queste, a volte, non rappresentano una misura di giustizia. Sono, piuttosto, per avere sentenze eque e giuste. A me è parso – parlo da lettore non solo di giornali politici, ma anche di giornali sportivi – che tali richieste fossero, in qualche misura, un poco esagerate.
Ci troviamo di fronte – faccio un paragone che potrebbe sembrare azzardato, ma a mio giudizio non lo è -, sia nel mondo del calcio, sia nel mondo del ciclismo (del quale ho seguito la vicenda doping), a delle crisi di sistema. Mi rifiuto di pensare che, tranne qualche eccezione da me ricordata (coloro che hanno subito i torti), la maggior parte delle società calcistiche non sapesse dell’esistenza di questo sistema o che pure, sapendolo, non lo avesse in qualche misura utilizzato. Né credo che, senza utilizzarlo ma conoscendone l’esistenza, non lo avesse denunciato per paura. Questo implica una qualche forma di responsabilità complessiva, con le dovute eccezioni, nel mondo del calcio.
Citavo il paragone con la vicenda doping del mondo del ciclismo. Questa vicenda assomiglia alla storia del finanziamento illecito della cosiddetta prima Repubblica. Ogni tanto si ferma qualcuno, lo si accusa di aver fatto uso di Epo, di emotrasfusioni, di avere un valore di ematocrito superiore alla soglia consentita, e lo si blocca prima del Giro d’Italia o del Tour de France. Eppure si sa benissimo – lo dicono scienziati e corridori – che l’uso di sostanze dopanti nel mondo del ciclismo è stato, nel corso di questi ultimi anni, un fatto piuttosto generalizzato. Non siamo più ai tempi della «bomba» a cui faceva riferimento Coppi nelle interviste – caffeina o, al più, simpamina -, quando diceva che non c’era nessuno che non l’avesse mai presa. Si parla piuttosto di sostanze la cui assunzione è capace di alterare fortemente le prestazioni sportive. Insomma, se prendi queste sostanze – diceva un vecchio corridore, se non erro Chiappucci – hai il motore, se non le prendi non ce l’hai. Chi non le ha mai prese, dunque, difficilmente poteva essere competitivo con chi, invece, le aveva assunte. Il discorso, quindi, è più generale, è di sistema. Come si fa a concepire ancora un Tour de France senza la partecipazione dei quattro migliori corridori, tutti responsabili di essersi serviti del medico spagnolo Fuentes, che manipolava il sangue? Lo stesso Fuentes, peraltro, in un’intervista ha detto che ci sono molti corridori che stanno partecipando al Tour de France che sono stati suoi clienti, così come lo sono stati molti calciatori e molti sportivi di altre discipline.
Voglio solo far notare, su questo punto, che una giustizia parziale è peggio di un’ingiustizia totale. Se si vuole combattere questo aspetto del doping nel ciclismo, si sappia che lo si deve perseguire a centottanta gradi, andando in profondità. Capisco che finora non siamo stati in grado di rinvenire l’Epo, o comunque sostanze dopanti, attraverso l’uso delle analisi, se non fissando dei parametri che riguardano l’ematocrito, ossia la densità del sangue. Il problema è talmente grave che investe l’insieme del mondo del ciclismo. Sport come il ciclismo o l’atletica sono molto più condizionati dal doping di quanto non lo sia, per alcuni aspetti, lo stesso calcio. Se nel calcio la tecnica, l’abilità, la tattica possono avere una funzione importante, nel ciclismo, senza fiato e senza gambe, pur con tutta la tecnica del mondo, difficilmente si può scalare l’Alpe d’Huez. Il problema del rapporto tra doping e prestazione sportiva, in un mondo come quello del ciclismo o dell’atletica leggera, è certamente molto più determinante.
Auguro naturalmente al ministro Melandri i migliori successi di questo nuovo dicastero. In passato, alla fine degli anni ottanta – all’epoca, quando io e il ministro ci siamo conosciuti, mi occupavo di ambiente -, avevo auspicato la nascita di un Ministero dello sport. Mi fa piacere che finalmente questo Ministero sia nato, come in Francia e in altri paesi europei. Dico questo non già perchè non creda all’autogoverno e all’autonomia dello sport, ma perché non ho mai creduto alla sua autosufficienza.
Badate, lo schema su cui si regge il governo dello sport in Italia, che è quello del CONI – su cui il Governo, in base alle leggi vigenti, ha soltanto un potere di vigilanza -, è uno schema che, a mio modesto parere, può essere una delle fonti della corruzione. Il CONI viene eletto dalle federazioni, le leghe sono elette dalle società sportive, ovvero, vi è un livello di dipendenza di chi è eletto da chi è elettore talmente forte che, poi, è difficile pensare che il primo non debba in qualche misura rappresentare gli interessi del secondo. Lo schema dell’autogoverno è importante, ma il rapporto tra eletto – presidente di una lega, di una federazione o dello stesso CONI – ed elettore è talmente forte che può determinare delle deviazioni. E quando è eletto da una maggioranza deve naturalmente rispondere più a questa che alla minoranza. Non c’è dubbio su questo punto. Allora, la vigilanza va esercitata nel modo più rigoroso possibile. E che non ci sia autosufficienza è provato dalla nomina di un uomo che tutto è stato tranne che uomo di sport – Guido Rossi – come commissario della Federazione giuoco calcio. Perché non si è scelto un uomo di sport, ma un uomo che nella vita ha fatto tutt’altro? Perché, evidentemente, in questo momento si aveva il sospetto che il mondo dello sport non potesse più esercitare, soprattutto nel calcio, il suo autogoverno attraverso la sua autosufficienza. L’autosufficienza poteva essere concepita – e a mio avviso deve essere concepita – come una delle fonti delle possibili deviazioni, per i rapporti sbagliati che si instaurano sempre tra colui che è eletto e colui che è elettore. L’elezione ultima del presidente della Federazione giuoco calcio ne è una dimostrazione, come lo sono, mi pare, le intercettazioni telefoniche tra gli amici e i nemici. Già in passato, questo discorso sull’autonomia del mondo sportivo era di fatto messo in discussione attraverso una grande ipocrisia, perché da un lato si diceva che lo sport era autonomo, ma dall’altro i presidenti delle federazioni e delle leghe erano quasi tutti parlamentari, esponenti di partiti politici (ricordo Colucci alla pesca, Fracanzani alla pallavolo, De Michelis al basket, Matarrese presidente della federazione gioco calcio). Questo determinava un’autonomia solo formale e, di fatto, una commistione piuttosto discutibile fra partiti, Parlamento e sport.
Riprendendo la questione dei processi – mi avvio alla conclusione -, l’errore di aver messo Borrelli in quella posizione non deriva dal fatto che Borrelli nutra un pregiudizio nei confronti di Berlusconi, come qualcuno sostiene. L’errore di scegliere Borrelli per quel compito è che, qualora fosse entrato nelle questioni del Milan e di Berlusconi, qualcuno avrebbe avuto certamente questo sospetto. Siccome si sapeva che, se fosse uscito il nome del Milan, essendo Borrelli l’istruttore, qualcuno avrebbe certamente potuto nutrire un sospetto simile, è stato un errore aver fatto ricorso a questo magistrato.
Nel 1988, sono stato relatore di una legge – l’ultima, credo – che elargiva contributi a fondo perduto all’impiantistica sportiva: mi riferisco alla legge sui mondiali, la n. 92, che stanziava soldi per gli stadi dei mondiali, ma anche in generale per l’impiantistica sportiva. Ne ha dati un po’ a pioggia, se volete, ma distribuiti in due o tre annualità, per costruire anche palazzi dello sport, campi da gioco, e per contribuire a riammodernare l’impiantistica sportiva nel nostro paese.
Adesso, come ricordava prima la signora ministro, abbiamo la possibilità di ospitare i campionati europei di calcio del 2012. Tuttavia, per ospitare tale manifestazione è necessario – ci fanno sapere – un sostanziale riammodernamento dell’impiantistica sportiva, nella fattispecie degli stadi. Molti stadi, infatti, non hanno i requisiti richiesti dalla Federazione internazionale, in particolare per ciò che riguarda le barriere fra pubblico e campo di calcio, e anche per ciò che riguarda la sicurezza. Dei mondiali che si sono svolti in Germania mi hanno colpito due cose: la sicurezza, gestita direttamente dalle società sportive, e gli stadi pieni, senza vuoti, come accade spesso in Italia, tra opposte tifoserie. Vedevo italiani e francesi vicini, tedeschi e italiani vicini, senza nessuna paura, senza nessun pericolo. In Italia, li avrebbero ingabbiati, secondo le norme degli stadi, uno da una parte, uno dall’altra, con mille poliziotti e dieci gradini vuoti tra loro: ecco, mi sembra che possiamo in qualche misura importare questo modello.
Avrei altre cose da dire, ma non aggiungo altro, per evitare di farvi perdere molto tempo. Farò ulteriori considerazioni quando parleremo dei giovani e dello sport.